Pausa natalizia

Siccome questo blog dovrebbe essere soprattutto una palestra di scrittura, oltre che indegno monumento alle eroiche gesta del paladino della Mandria, ho deciso di sospendere gli allenamenti per qualche settimana e dedicarmi a scrivere altro.
Riprenderò a narrarvi le epiche gesta di Don Cyshiter dopo l'Epifania.
Se temete di dimenticarvi di me dopo questa lunga pausa, iscrivetevi ora ai feed vari, che non so come funzionino, oppure contattatemi privatamente per lasciarmi la vostra mail e avrò cura di avvisarvi quando uscirà il prossimo capitolo.

Capitolo 28

Raccontasi la nuova avventura successa all'insegnante e al barbiere

Spesso ripenso con nostalgia agli anni '80 e '90, come anni di emozioni e avventure. Quando i miei amici ed io eravamo convinti di essere Cavalieri dello Zodiaco e organizzavamo tornei di lotta clandestina nei garage sotterranei, quando non esisteva Wikipedia e andavamo in biblioteca a fare ricerche per una nuova campagna di qualche GdR autoprodotto, quando non c'era Whatsapp e se un amico mancava al solito ritrovo lo si andava a cercare a casa.
Tutto era più epico: le VHS avevano una definizione migliore dei Blu-ray, i prototipi di telefoni portatili potevano essere usati come armi da lancio senza subire danni, il potere di acquisto della Lira era tale da permettere, inserendo le monete in grosse apparecchiature, di telefonare o smanettare alcuni minuti davanti ad un videogioco.
Il mondo era più epico, o eravamo noi ad esserlo?
Immagino che, nella sua fantasia delirante, Don Cyshiter abbia rivissuto quella stessa epicità, e forse ancora di più, anche nel secondo decennio del ventunesimo secolo.
Ma Don Cyshiter, mi si obbietterà, era pazzo. Ebbene, ho il piacere di raccontare la non meno epica avventura accorsa a Pietro e Nicola, due persone clinicamente sane e legalmente non interdette.

Premio Gianfranco Viviani

Mesi addietro un'amica mi fece conoscere il concorso letterario Premio Gianfranco Viviani.
Io non ho fatto trasparire nulla della mia abissale ignoranza e, imperturbabile, ho retto la conversazione interessato. Più tardi, col favore delle tenebre, mi sono informato sui canali digitali, ho scoperto chi fosse questo tale Gianfranco Viviani e, folgorato dalla scoperta, ho scritto una storia ispirata a lui, anzi al suo lavoro. Ho spedito il tutto e ho lasciato che la mia storia annegasse nell'oceano della produzione letteraria dilettantistica.
Oggi ho rivisto la mia amica che si è complimentata con me per la mia storia che è stata selezionata per la pubblicazione e questa volta non ho potuto dissimulare lo sbigottimento, visto che non ne sapevo assolutamente nulla.

Ora, lo scopo di questo post non è tanto vantarmi che il mio racconto Il primo colloquio di lavoro del mio amico demone si sia classificato come "decimo non-vincitore ripescato all'ultimo per la pubblicazione", meritevole in quanto racconto dal titolo più prolisso. No. (noooooo!)
Innanzi tutto ringrazio la mia amica e il blog I romanzi si raccontano, che pubblica aggiornamenti su questo e altri concorsi.
In secondo luogo segnalo la nuova edizione del Premio Gianfranco Viviani per il 2018, chi avesse piacere di partecipare o fosse interessato a informarsi sulle pubblicazioni può seguire la pagina facebook dal link all'inizio di questo post.
Ultimo ma non ultimo, mi piacerebbe condividere quello che ho scoperto su Viviani: se gli hanno dedicato un concorso di letteratura fantastica è perché ha contribuito in modo determinante a diffondere questo genere letterario in Italia.
Ai tempi in cui fantascienza e fantasy erano considerati prodotti esclusivamente per ragazzi, se non per bambini, buoni solo per le edicole, Gianfranco Viviani ha lavorato per creare loro una dignità letteraria. Ha importato autori come Michael Moorcock, Ursula Le Guin e Frank Herbert e li ha proposti insieme a molti altri sugli scaffali delle librerie.
Ora, come al solito sto parlando di cose che non conosco: io negli anni '70 non c'ero e negli '80 avevo appena imparato a leggere. Però molti dei libri che avevo sugli scaffali della mia cameretta da ragazzo sono arrivati lì anche per merito suo, quindi un "grazie" penso di poterlo spendere.

Capitolo 27

Del modo in cui l'insegnante e il barbiere attuarono il loro piano, con altre cose degne di essere riportate in questa epica storia

L'idea di Pietro piacque tanto al barbiere che la misero subito in pratica.
A casa di Pietro Pere recuperarono alcuni vestiti e travestimenti: il padrone di casa mise in una zaino una lunga barba finta e una tunica con cappuccio. A Nicola invece toccarono un paio di orecchie di plastica a punta, un arco e una faretra con frecce dalla punta a ventosa.
«Ma questo non è un costume.»
«Ma sì, avrai un paio di pantaloni larghi e una maglia verde a casa, li metti su e fai l'elfo silvano.»
«Ma mi riconoscerà subito.»
«E tu mettiti una bandana in faccia, che fai l'elfo-ninja.»
«Elfo-ninja?»
«Se vuoi ti do un po' di sangue finto e fai l'elfo-ninja-zombie.»
«Ma vaffanculo.
Almeno togliamo le ventose dalle frecce.»
«Fa' come vuoi, ma se finisce che fai male a qualcuno sono cavoli tuoi.»
Istruirono Sergio di non rivelare le loro identità, per il bene del suo amico, e quando gli avesse chiesto la risposta di Selene di rassicurare Don Cyshiter dicendo che l'Avatar gli comandava di seguire quegli avventurieri e aiutarli nella loro missione, che era di massima importanza.
Avevano convinto lo scudiero ad assecondarli dicendogli, non senza ragione, che fintanto che Don Cyshiter fosse rimasto fra i boschi ad addestrarsi, di sicuro non avrebbe salvato nessuna fanciulla e quindi non avrebbe potuto procurargli alcun harem.

Seguirono dunque Sergio, che cavalcava Sgommodura, lungo l'autostrada e poi attraverso una statale che attraversava ameni paesi facendo abbastanza rotonde da far venire la nausea al barbiere. Nel tardo pomeriggio passarono vicino al dirupo granitico della Madonna del Sasso, il promontorio dietro cui Don Cyshiter era stato lasciato ai propri allenamenti.
Lasciata la macchina in un piazzale, i due amici si vestirono come concordato. Sergio disse che gli li precedesse, recando la risposta alla lettera per Selene, stimando che essa sarebbe bastata a farlo schiodare da dove si trovava, senza che loro si scomodassero.
Così Pietro e Nicola si sedettero su un muricciolo al limitare degli alberi, ben contenti di non dover camminare in quella giornata ancora calda, con indosso barbe finte, bandane e altre chincaglierie accaldanti.
Standosene lì comodi a sperare che nessuno li vedesse in quelle condizioni, udirono una voce, come un lamento che echeggiava tra gli alberi:

Capitolo 26

Continuazione delle prodezze che fece Don Cyshiter nel Cusio e racconto dell'ambasceria di Sergio Zanca

Continuando il racconto di ciò che fece il paladino dalla Trista Figura quando si trovò solo, dice la storia che dopo aver tirato calci all'aria e aver corso a torso nudo per più di tre minuti ininterrotti, salì sopra un grosso masso erratico; lì tornò a volgere il pensiero ai massimi ragionamenti che occupavano il suo intelletto.
«Alla fine,» pensava fra sé e sé, «Martin non è stato questo grande innovatore.
Una barriera di ghiaccio che divide il continente? Hickman e Weis in Dragonlance.
Un'antica stirpe nobiliare decadente che, proveniendo da un'isola ha soggiogato le altre nazioni con la forza dei draghi? I Melniboneani di Moorcock.
Il gioco dei troni? La guerra della due rose. Anche i nomi sono assonanti... York e Lancaster.
Ma forse l'abilità di uno scrittore non si misura nella capacità di trovare nuovi elementi, ma in quella di raccontare sotto nuova luce cose già conosciute, proprio perché archetipi radicati nell'animo umano.
La spada di Shannara fu un plagio ancora più palese e meno fantasioso, eppure lo si annovera fra i massimi esponenti del fantasy perché ha saputo raccontare una storia antica con nuove parole.
Dunque non dovrei rammaricarmi per la scarsa inventiva di Martin ma anzi lodarlo perché i suoi libri hanno portato una ventata di innovazione in un genere che stava ristagnando.
Eppure non posso trattenermi dal biasimarlo per il continuo dilatarsi dei tempi di scrittura e pubblicazione.
Anche Robert Jordan ha scritto una saga da migliaia di pagine ed ha impiegato più tempo di quanto la natura non gli abbia concesso. Eppure egli ha sempre pubblicato con regolarità, senza che i lettori affrontassero attese sconvenienti. E soprattutto si è preoccupato che il destino della propria storia finisse in mani capaci, non certo in quelle di un branco di sceneggiatori prezzolati che badano solo all'audience televisivo.
All'arte non si confà la fretta, questo è vero, ma deve pur esistere un metro per uno scrittore professionista, o incorrerà nel peccato più grave: annoiare il lettore.»
Tali erano i pensieri profondi partoriti da Don Cyshiter nel suo ritiro spirituale.
Ma sarà ora cosa opportuna lasciarlo occupato nelle proprie riflessioni per passare al racconto di ciò che avvenne a Sergio Zanca nella sua sub-quest.

Accreditare la propria opera

Frequentando la blogosfera (mi piace questo termine, mi ricorda quei mostri strani di D&D tipo il cubo gelatinoso) mi sono imbattuto in numerosi consigli, avvertenze, e anche non pochi diktat sulla scrittura creativa. Mi sono divertito a leggerli e alcuni di questi mi sono stati utili, quindi è sorta anche a me la voglia di mettere a disposizione degli altri la mia esperienza e abilità.
Il problema è che io non possiedo né l'una né l'altra.
Da qui l'idea di offrire un supporto digitale ad un Maestro che ha molto da offrire sull'argomento ma che non può scrivere il proprio blog, essendo morto da alcune centinaia d'anni.
Parlo ovviamente di Cervantes, il quale dispensa non pochi consigli nei prologhi delle sue opere, per chi ha occhi per leggere.
Certo, si potrebbe leggere direttamente i suddetti prologhi, ma se fate così io che ci scrivo su questo blog?Ecco a voi dunque il secondo appuntamento non richiesto con la rubrica:

Riguardo i Maestri

L'argomento che vorrei trattare oggi è quello che sembra stare più a cuore a Cervantes nel prologo della prima parte del Don Chisciotte, ossia come rendere autorevole la propria opera in vista delle critiche del pubblico.

Capitolo 25

Degli estenuanti allenamenti cui si sottopose nel Cusio il valoroso paladino della Mandria

Don Cyshiter ripartì spingendo la moto, seguito di malavoglia da Sergio che dentro di sé rimuginava diversi pensieri.
«Avrei un po' di cose da dire, ma poi va a finire che tu ti incazzi e mi pigli a bastonate in testa se non sto zitto, manco fossi il tuo servo. Mi vien voglia di tornarmene da mia madre, ma tanto pure lei usava il battipanni quando dicevo qualcosa che non le andava.»
«Ho capito Sergio, ti è sorto quell'irresistibile impulso di lamentarti che a tratti ti coglie, come la fame e la sete. Né posso biasimarti più di tanto, essendo esigenza tipica della terra in cui nascesti, e essendo ormai giorni che ti ritrovi nell'impossibilità di scrivere vacue lamentele su Facebook.
Parla dunque, e ti ascolterò con la tolleranza con cui accolsi il tuo suggerimento di fuggire le ritorsioni di quegli indegni rappresentanti della legge. Ma bada che tale grazia si intende fatta solo fintanto che ci aggireremo per queste amene montagne.»
Cominciando immediatamente a godere del beneficio di quel salvacondotto, Sergio chiese:
«Ma che ti fregava di prenderti così tanto impegno per quella Cristiana, o come si chiama? E che ti importa che quell'altro fosse innamorato o no? Se tu ci passavi sopra, anziché stare a pontileggiare su tutto, il pazzo finiva la sua storia e avremmo evitato di prendere altre botte»
«Vuoi dire "pontificare". In fede mia, Sergio, se tu sapessi come so io quale alta e valente eroina fu Dama Crysania e in qual modo fu ella abbandonata, troveresti che io sia stato estremamente tollerante nell'ascoltare gli spropositi di quello sventurato.»
«Sarà, ma quello è matto, e ai matti si dà ragione, perché se non avessi avuto il solito culo, quel sasso te lo saresti beccato in fronte anziché sul petto, e allora chi la proteggeva più la tua dama?»
«Se è obbligo dei paladini difendere l'onore del gentil sesso dai pazzi come dai savi, tanto più dovuto nei confronti di una donna che ha condiviso la nostra sorte di avventurieri, e anzi ha eccelso. Sappi che, pur tralasciando la sua grande bellezza, ha rinunciato ad una vita agiata per mettersi al servizio del Bene. Innamoratasi del potente quanto egoista Raistlin Majere cercherà di aiutarlo e redimerlo, ma l'unico risultato sarà di essere abbandonata e resa cieca. E pur priva della vista ha sempre continuato la propria lotta per il Bene.
Sbaglia dunque, e anzi mente, chi acclama Raistlin Majere come eroe degno di questo nome.»
«Io non acclamo niente, dico solo che dico come il proverbio che dice "chi si fa i fatti suoi campa cent'anni" e "donne e motori son gioie e dolori".»
«Santo Pelor, Sergio, ma che vai farneticando, e che c'entrano queste tue filastrocche?!
È meglio che torni al tuo silenzio e ti occupi di spingere il tuo Grigio.»

Ora il lettore attento si starà chiedendo da dove spunti il Grigio, ossia lo scooter di Sergio, visto che in precedenza ho raccontato di come fosse stato rubato da Gino Passamonte.
Ebbene, non lo so.
Narrare le mirabolanti imprese di Don Cyshiter è un fine gioco di ricerca, immaginazione, ricostruzione e scrittura. Nel processo qualcosa deve essere andato storto, ma questi sono i fatti così come li ho ricostruiti al meglio delle mie possibilità. E se tali fatti sembrano andar contro la logica, chi sono io per dire che non possa essere andata proprio così?
E siete voi forse ancora così ancorati alle concezioni di logica aristotelica da voler negare che se una cosa è stata portata via non può essere ancora presente?
Don Cyshiter insegna diversamente.
Ma torniamo a noi...

Capitolo 24

Seguita l'avventura del Lago d'Orta

Don Cyshiter attese in interesse che lo sventurato dicesse qualcosa.
«Chiunque lei sia, apprezzo la cortesia con cui mi tratta, ma posso ringraziarla solo a parole e chiedere se ha qualcosa da mangiare che può condividere.»
«Non intendo condividere solo il viatico, ma porre al vostro servizio la mia stessa spada; perché se vi è un rimedio atto a sanare il profondo dolore che la vostra condizione palesa, sarà mio onore e onere trovarlo, per l'investitura di paladino che io, benché indegno, ho ricevuto.
Sono io dunque che vi imploro, mio signore, per la molta cortesia che dimostrate, che mi raccontiate chi voi siate e la causa che vi ha tratto a vivere in queste condizioni selvagge, che non sono vostre di nascita come dimostrano il vostro orologio e il vostro bel parlare.»
Lo Stracciato d'infelice aspetto, sentendo parlare in quel modo il Paladino dalla Trista figura, non faceva altro che squadrarlo da capo a piedi, e dai piedi alla testa. Dopo averlo studiato a lungo, soggiunse:
«Se ha di che darmi da mangiare, me lo dia, per carità. Io dopo essermi sfamato farò quel che mi si chiede, in segno di gratitudine.»
Si intromise Sergio, che già vedeva le ultime briciole lasciare le sua bisacce.
«E lei e voi, e io. A sentirvi parlare si direbbe che ci sia una conferenza a Bakkingan Palas, e invece siamo solo noi tre, e stiamo in mezzo a una strada.
Per davvero in mezzo alla strada. Leviamoci di qui prima che ci mettano sotto.»
Si spostarono dunque in un luogo più sicuro, non lontano, e Sergio diede al vagabondo quanto gli rimaneva di commestibile. Quello mangiò pane e cacio infilando in bocca un boccone dopo l'altro, inghiottendo prima e masticando poi.
Quando ebbe terminato, riprese a parlare:
«Se davvero volete conoscere le mie sfortune, mi dovete promettere che non interromperete la mia storia con domande o altro, altrimenti il mio racconto finirà lì.»
Questo presupposto fece venire in mente a Don Cyshiter (e anche a me) la storiella di Sergio delle mucche traghettate, interrotta quando se ne perse il conto. Ma torniamo al nostro Stracciato, egli proseguì dicendo:
«Ve lo dico perché sono ricordi che mi fanno stare molto male e non voglio soffermarmi più dello stretto necessario, ma vi assicuro che non mancherò di dovizia di particolari e soddisferò la vostra curiosità.»
Don Cyshiter promise a nome proprio e del suo scudiero di astenersi da domande e commenti.

Capitolo 23

 Di quel che accadde a Don Cyshiter nel Cusio, che a raccontarlo non ci credo nemmeno io ma vi assicuro che è vero


Sergio Zanca raggiunse il suo compare di lì a poco, si chinò su di lui e subito si rincuorò quando lo sentì riprendere la consueta logorrea:
«Ridare la libertà a furfanti e vigliacchi, o Sergio, è come regalare una staffa magica ad un barbaro mezz'orco: non la userà mai nel modo giusto.
Forse dovrei ascoltare di più i tuoi prudenti consigli.»
Nemmeno quella eccezionale ammissione di torto da parte di Don Cyshiter fece dimenticare a Sergio della delicata situazione in cui si erano cacciati.
Da buon scudiero aiutò il paladino a rialzarsi, e da buon mariuolo insistette perché si allontanassero il prima possibile da quel posto.
«Tu sei codardo per natura,» rispose Don Cyshiter a quelle sagge considerazioni, «ma perché tu non possa accusarmi di ostinazione, né dire che io impongo la mia volontà a tutto il party, voglio ascoltarti per questa volta e sottrarmi alla tempesta che tu paventi.
Lo farò però ad una condizione: che tu mai abbia a dire che io mi sia sottratto allo scontro se non per condiscendere alle tue preghiere. Se sosterrai diversamente, tu mentirai, che anche solo a pensare tale evenienza mi vien moto di fermarmi qui e ora in mezzo alla via ad attendere le forze dell'ordine e i guerrieri del Pugno Fiammeggiante.
Ed essi verranno incontro alla mia spada sguainata gridando: "I serve the Flaming Fist!" e io li mieterò come grano maturo.
"I serve the Flaming Fist!" E giù uno.
"I serve the Flaming Fist!" Avanti un altro.
"I serve the Flaming Fist!" E un altro oneshottato.»
Sergio trattenne il compagno che mimava la scena.
«Sarò codardo e ignorante, ma mi intendo un po' di quel che si dice saper vivere; non ti pentirai se ascolti il mio consiglio.
Ora però fallo davvero e sali in moto, che abbiamo più bisogno di ruote che di spade.»

Capitolo 22

Don Cyshiter libera dei disgraziati che erano trattenuti contro la loro volontà

Questo episodio è ben documentato nei rapporti della polizia locale, attribuito ad ignoti, e spero vivamente che riportarlo su questo blog non crei problemi giuridici a nessuno.
Ebbene, mentre tra i due avventurieri passavano i discorsi che ho raccontato, Don Cyshiter alzò gli occhi e vide due uomini che venivano trascinati da altrettanti uomini in divisa, non senza dimenarsi e protestare, verso una volante dei carabinieri.
Sergio commentò subito: «Mi sa che gli sbirri se li portano in galera, che gli piaccia o no. Meglio loro che noi.»
«Come,» domandò Don Cyshiter, «è possibile che le forze dell'ordine facciano forza a qualcuno contro il suo volere?»
«Perché, c'è qualcuno che vorrebbe farsi arrestare?»
«Insomma, queste persone vengono coercite, la loro libertà violata.»
«E grazie tante, certo, avranno fatto qualcosa. Persino mio cugino...»
In mezzo al discorso furono raggiunti dalle due coppie. I carabinieri, troppo impegnati a sedare i facinorosi, davano per scontato che i cittadini si sarebbero scansati e non avevano notato l'aspetto eccentrico del paladino. Rimasero interdetti quando questo si avvicinò loro e domandò cortesemente la ragione per cui quella gente veniva arrestata.
Uno di quelli in divisa gli rispose che non doveva preoccuparsene e di allontanarsi per sicurezza.
Il ragazzo però continuò con altre formali richieste di conoscere l'imputazione o quale altro motivo avevano di portarli via, e tanto insisté che un carabiniere disse, rivolto al malfattore che teneva per la collottola:
«Dai, racconta al signore che hai combinato, su.»
«Eh, perché, per amore.» Rispose quello in tono strascicato.

Pausa estiva

Questo blog è stato concepito per essere letto a sgamo sul posto di lavoro, o magari mentre si dovrebbero fare i compiti.
Roba da digitare subito alt+tab quando arriva il capo (o la mamma), e se non sarai stato abbastanza veloce penserà che stessi guardando qualche sito birichino, e invece no, stavi leggendo Don Cyshiter.

In Agosto mi piace pensare che molte persone non saranno alla scrivania davanti al computer.
Soprattutto mi piace pensare che io non sarò alla scrivania davanti al computer, quindi sospendo le pubblicazioni per qualche settimana.

Ci rivediamo a Settembre, prevedo la pubblicazione del capitolo 22 per il 12/9.

Vi auguro di crittare il divertimento nelle vostre vacanze.

Capitolo 21

Si racconta la mitica avventura e la conquista del ricco loot dell'elmo della luminosità, con altri favoleggiati successi

Col far del giorno si era presentata una pioggerellina minuta che i due assetati non accolsero così male.
Tornarono sulla strada che stavano percorrendo il giorno prima e si rimisero in marcia. Dopo un po' di tempo scorsero un motociclista fermo sul ciglio della strada, si stava gustando una sigaretta seduto sul suo custom e sotto braccio reggeva un casco jet cromato come gli scarichi della sua moto.
Come lo vide, Don Cyshiter si fermò e fece cenno a Sergio di avvicinarsi.
«Io credo, o Sergio, che se la sorte ci ha precluso l'avventura dei rumori notturni, ora vuole ripareggiar i conti offrendoci una più sicura e migliore tenzone, e mia sarà la colpa se non saprò approfittarne.
Ti dico questo perché sulla nostra strada ci attende un uomo che indossa un elmo magico, oggetto che feci voto di impossessarmi, e se non mi inganno trattasi nientemeno che un elmo della luminosità.»
«Pensa bene a quello che dici e stai ancora più attento a quel che fai, che non vorrei fossero invece guai quelli che ci attendono lungo la strada.»
«Sciocco, cosa vai farneticando? Non vedi forse quel cavaliere che s'impigrisce sul suo destriero meccanico, e non vedi che regge in braccio un elmo rifulgente?»
«Quel che vedo è un motociclista con un casco pacchiano.»
«E quello è appunto l'elmo della luminosità, i cui incantamenti contengono potenti magie di fuoco e di luce, fra cui muro di fuoco, repulsione dei non-morti, palla di fuoco e spruzzo prismatico.»
«Palle di fuoco e spruzzo che cosa?!»
«Sono incantesimi di invocazione assai poderosi.
Stava per replicare Sergio, quando Don Cyshiter si avvide che il motociclista aveva finito la sigaretta e stava per rimontare in sella.Non volle perdere quell'occasione di attaccare con vantaggio e partì dunque subitaneamente.
«Difenditi, o prigioniera creatura,» disse abbassando la lancia, «oppure cedimi volontariamente ciò che di diritto mi appartiene.»
Il biker, colto di sprovvista da quella carica impensata, non trovò miglior riparo che gettarsi dietro la moto, dopodiché si rialzò velocemente, scavalcò il guardrail e più veloce di un ghepardo si mise a fuggire per il bosco, a dispetto dell'immagine del motociclista metallaro cazzuto.
Don Cyshiter raccolse il casco, dicendo che doveva trattarsi di un bardo più che di un guerriero, da come si era disingaggiato e aveva fuggito la tenzone.
Sergio, dal canto suo, si premurò di recuperare le bisacce della moto, che comunque erano vuote, per rimpiazzare le proprie dimenticate all'ostello.
Il paladino si attardò ad esaminare l'elmo, preoccupato per l'assenza delle gemme che avrebbero dovuto contenerne il potere magico, ma si convinse infine che dovesse trattarsi di un esemplare rarissimo nel quale gli incantesimi erano infusi nell'elmo stesso e pertanto fossero inesauribili.
Sergio lo assecondò compiacendosi di quella fortuna e cercò di tagliar corto e ripartire, immaginandosi già di veder spuntare dal tornante un'orda di bikers incazzati neri.


Capitolo 20

Della giammai veduta ed intesa avventura, che non fu terminata con tanto poco pericolo da cavaliere al mondo con quanto poco fu superata dal valoroso Don Cyshiter della Mandria

«O c'è un fiumiciattolo qui vicino, o c'è qualcuno che sta facendo una pisciata davvero fenomenale.» Disse Sergio Zanca. «Andiamo a vedere, che se trovo un ruscello me lo bevo tutto, comprese le salmonelle.»
A Don Cyshiter piacque il consiglio e seguì l'esploratore, ma dopo la disavventura degli Yuan-Ti non volle lasciare incustodita Sgommodura, e si mise a spingerla a mano lungo il sentiero, facendo luce col fare.
Non avevano fatto molta strada, né avrebbero potuto spingere tanto lontano una motocicletta attraverso il bosco, quando di sentì chiaramente lo scroscio di un torrente, che rallegrò molto entrambi. Non fecero però in tempo a mettere Sgommodura sul cavalletto, che un altro rumore, più inquietante, rimbombò nel buio della notte, cambiando repentinamente il loro umore.
Si trattava di un rombo sordo e profondo, che saliva e scendeva ritmicamente di intensità, alternandosi con un suono che ricordava una forte inspirazione. La solitudine, il posto, l'oscurità, lo stormire delle foglie, tutto insieme cagionava spavento, tanto più che l'alba era lontana e i due non avevano un'idea chiara di dove si trovassero.
Don Cyshiter però, animato dal suo cuore intrepido, salì in sella e imbracciò la lancia dicendo:
«Sergio, devi sapere che io nacqui per volere degli dei in questa età di leoni da tastiera per far rivivere il genuino coraggio dei tempi che furono.
A me sono riservati i perigli, le alte imprese e i memorabili avvenimenti; a me spetta far rinascere lo spirito della Tavola Rotonda, dei dodici nani che riconquistarono la Montagna Solitaria, dei nove della Compagnia dell'Anello.
Poni ben mente, fedele e accorto scudiero mio, alle tenebre di questa notte che metterebbero timore allo stesso dio Gruumsh. Questo è invece per l'animo mio stimolo e sprone, già il cuor mi si gonfia nel petto per il desiderio di intraprendere questa perigliosa avventura.
Perciò tu occultati fra le tenebre come si conface alla tua classe, e attendimi. Se non dovessi vedermi entro tre giorni tu  torna a Robassomero, dove dirai all'incomparabile signora mia Avatar di Selune che questo paladino è morto affrontando un'impresa che lo rendesse degno di chiamarsi suo servo.»

Capitolo 19

Dell'avventura del chierico pietrificato

I due prodi della Mandria proseguirono stentatamente lungo i tornanti per un certo tratto di strada.
Nonostante la fame si facesse sentire, nessuno dei due volle fermarsi a mangiare, Don Cyshiter per il troppo dolore alla mandibola e Sergio Zanca per paura di incappare in qualche controllo delle forze dell'ordine, dopo i numerosi incidenti di cui erano stati protagonisti.
«Le sfighe che ci sono capitate,» disse lo scudiero in una delle frequenti pause, «secondo me sono colpa del tuo spergiuro. Avevi giurato di fare penitenza finché non trovavi un casco, no? E io te l'avevo detto che non si giura così tanto per fare, che poi ti tiri la sfiga addosso.»
«Hai ragione, o Sergio, e in verità ti dirò che questo m'era uscito di mente. Ho pagato il castigo per la mia smemoratezza e tu per non avermene ricordato prima. Ma farò ammenda e Selune dimostrerà la propria misericordia.»

Intrattenendosi in questi e simili discorsi e rinfrancati dalla frescura montana proseguirono oziosamente tutto il giorno lungo i tornanti, costeggiando quell'arco alpino che fa ben capire da dove proviene il nome "Piemonte".
La notte li colse infine in una strada lontana dai centri urbani, con gli stomaci che protestavano rumorosamente, perché con la perdita delle bisacce erano mancate anche tutte le provviste, l'unica cosa che Sergio sparasse era di trovare una piola ancora aperta, ma ad onta di ciò li si fece invece incontro una nuova avventura.
Non era ancora sorta la luna e la notte era più scura dell'ordinario, videro avvicinarsi una serie di lumi in processione, come stelle che si muovessero. Si fermarono e stettero a guardare il lento appropinquarsi di quelle luci, che si facevano più grandi via via che si avvicinavano e sembravano accompagnati da strane litanie.
Sancio prese a tremare e Don Cyshiter, non senza qualche turbamento, disse:
«Questa senza dubbio deve essere una grandissima e pericolosissima avventura, in cui sarà necessario che io mostri tutto il mio valore.»
«Povero me,» rispose Sergio, «non credo di avere altre costole da rompere per sopportare un'altra avventura, tanto più se si tratta di fantasmi come mi sembra.»
«Non temere, fantasmi o no, non permetterò che ti si tocchi un pelo della barba; che se stamattina si son presi burla di te è stato solo perché non ho potuto scavalcare la siepe, ma qui siamo in campo aperto e posso brandire liberamente la spada.»
«Ma se sono fantasmi la spada servirà a poco.»
«Comunque, Sergio mio, ti chiedo di farti forza, e presto vedrai quanto io valga.»

Capitolo 18

Dove si raccontano i discorsi che passarono tra Sergio Zanca e Don Cyshiter, con altre avventure degne di essere ricordate

Sergio raggiunse il suo compare, ma così debole e rintronato che gli mancava persino la lucidità per far andare lo scooter. Vedendolo rovinato a quel modo, Don Cyshiter gli disse:
«Ora Sergio, amico mio, sono certo che quel palazzo, o forse ostello, sia maledetto. Non potevano che essere demoni dei Nove Inferi quelli che si sono presi così giuoco della tua persona. E tanto più lo credo che mentre guardavo quei terribili affronti da sopra la cancellata, non mi è stato possibile scavalcarla per correre in tuo soccorso, né scendere da Sgommodura.
Ti giuro da paladino che sono, che se avessi potuto raggiungervi ti avrei vendicato in modo tale che quei malvagi si sarebbero ricordati di tale burla per il resto delle proprie esistenze.»
«Io pure mi sarei vendicato se avessi potuto, paladino o no. E stai sicuro che quelli che mi hanno conciato così non erano demoni né Ianguesi, ma persone come me e te. E se non hai potuto scavalcare la siepe non era per un incantesimo, ma per qualche altra ragione.
Quello poi che so io è che queste avventure che facciamo ci porteranno a tanti malanni che a un certo punto non distingueremo più la destra dalla sinistra.
La cosa migliore secondo me sarebbe tornarcene alla Mandria, che in questa stagione è piena di faggianelle che prendono il sole nei prati, prima di passare dalla padella alla brace.»
«Tu conosci ben poco della vita dell'avventuriero.
Taci e abbi sofferenza, che verrà il giorno in cui vedrai coi tuoi stessi occhi quanto ti farà grande l'esercizio di questa professione.
E dimmi di grazia: qual maggior contento può esserci che quello di trionfare su un nemico di Grado Sfida estremo? Nessuno senza dubbio.»
«Sarà così, che io di queste cose non ne capisco niente, ma intanto da quando siamo avventurieri non abbiamo vinto nessuna battaglia apparte quella col tizio dell'automobile, e anche da lì ne sei uscito con mezza orecchia in meno. Dopo di quello tutto è andato avanti a bastonate e cazzotti e io, in più, sono stato sbalzato su una coperta da delle persone indemoniate su cui non posso vendicarmi. E perciò non so ancora quanto sia bello vincere un nemico, come dici te.»
«Questo è il rammarico che sento io, e che devi provare tu pure, o Sergio. Ma mi procurerò al più presto una spada benedetta +3 che mi permetta di ferire qualsiasi creatura, anche immateriale, e che magari mi conferisca un bonus ai Tiri Salvezza contro gl'incantesimi. Sarò come il cavaliere nero Gatsu, la cui spada intrisa del sangue di mille esseri immondi gli permette di guerreggiare contro i peggiori demoni.»
«Con la fortuna che c'ho io, se anche trovassi una spada così, verrebbe fuori che la possono usare solo i paladini, e io mi ritroverei nella merda, proprio come è successo con la Pozione di cura.»
«Non temere di questo, che la sorte non sarà così severa con te.» Lo incoraggiò l'amico.

Capitolo 17

Seguitano gli innumerevoli travagli che il valoroso Don Cyshiter patì insieme al suo fido scudiero Sergio Zanca nell'ostello che egli, a suo danno, credeva un palazzo elfico

L'indomani mattina, alle prime luci dell'alba, Don Cyshiter si riprese un poco e si svegliò.
«Sergio, amico mio, dormi? Dormi tu, Sergio, amico mio?»
«E come faccio a dormire con te che continui a chiamarmi? Il risveglio perfetto dopo una notte infernale.»
«Ah! Non dici male. O io ho perduto il senno, o questo palazzo è maledetto. Devo rivelarti una cosa ma devi giurarmi di non farne parola con alcuno.»
«Va bene, lo giuro.» Rispose Sergio.
«Te lo raccomando, perché qualcuno potrebbe trovarsi disonorato da questa verità e io non lo voglio.»
«Ripeto e giuro che custodirò il segreto fino alla tua morte, e spero di poterlo rivelare già domani.»
«Mi porti dunque così tanto rancore da volermi vedere morto così presto?»
«Non è per questo. È che non mi piace di tenere segreti; non vorrei che a conservare troppo a lungo un segreto mi si infradiciasse nello stomaco.»
«Sia quel che sia, io mi fido della tua discrezione.
Devi dunque sapere che mi è accaduta una delle avventure più strane che si possano immaginare: questa notte è venuta da me la figlia del Signore di questo palazzo, una delle vergini più leggiadre della sublime razza elfica.
Che ti potrei dire della gentilezza della sua persona? Del suo gran discernimento?»
«Come ce l'aveva il discernimento? Era sodo?»
«Le qualità cui pensi tu, che sei di allineamento Caotico, seppur buono, noi paladini non facciamo menzione.
Mi limiterò a dirti della maledizione che minaccia questo posto, poiché mentre mi intrattenevo con lei in dolci e amorosi colloqui, sono stato subitaneamente attaccato da una mano gigante, che sospetto essere frutto di un potentissimo incantesimo chiamato "Pugno serrato di Bigby".
Mi ha dato un colpo così forte alle ganasce che mi ritrovo tutto coperto di sangue, e poi mi ha afferrato stritolandomi le costole così forte che mi ritrovo più dolorante di ieri dopo l'imboscate dagli Yuan-ti.
Ora io sospetto che qualcuno abbia gettato una maledizione su quella damigella per preservarne la virtù.»
«Questa volta non sarò io a fare pensieri strani. Questa notte sono stato pestato dagli orchi, che le botte degli Ianguesi di ieri a confronto sembrano un massaggio thailandese.
Almeno tu hai avuto tra le mani quella bellezza che hai detto, io invece niente. Mi venga un cancro se voglio fare il paladino, eppure mi piglio sempre la maggior parte delle saccagnate.»
«Dunque anche tu sei stato colpito e rimani con pochi Punti Ferita?»
«E non t'ho detto di sì?»
«Non ti affliggere amico mio, che io procurerò tosto per noi una pozione di cura che ci risanerà in un batter d'occhio.»

Una curiosità sul capitolo 16

Stavo casualmente leggendo un passaggio de L'ingegnoso Idalgo Don Chisciotte della Mancia, meravigliandomi ancora una volta di quanto quella storia sia simile ai fatti veramente accaduti all'eroe protagonista di questo blog, quando mi sono imbattuto in un passo che mi ha stupito.
Nel capitolo 16 parlava di un'inserviente che progetta una fuga d'amore con un vetturale, per coronare il loro desiderio segreto di sposarsi...
Sposarsi?! Mi ricordavo diversamente.

Capitolo 16

Di quello che accadde a Don Cyshiter nell'ostello che egli si ostinava a ritenere un palazzo elfico

L'ostello aveva l'aspetto severo di una piccola caserma, mitigato dall'amenità delle montagne verdeggianti che lo circondavano.
Era gestito da una coppia con la figlia e una dipendente. Di questi la padrona di casa era quella d'indole più caritatevole e pietosa, così quando vide la coppia arrivare così male in arnese si applicò subito per prestare loro conforto con ghiaccio, e crema per le contusioni, e volle che l'aiutasse anche la figlia, giovane libera e di buona grazia.
La dipendente invece era una ragazza dalla testa stranamente cubica, il naso storto, occhi cisposi, culo piatto e gambe storte; ma la sua esuberanza e allegrezza controbilanciavano questi piccoli difetti. Anch'ella assisté alle medicazioni e condusse i due avventori in una camerata.
L'ostello aveva due dormitori maschili e uno femminile, con tre letti a castello in ciascuno. Era uno degli ultimi residui del tempo in cui viaggiatori e turisti si accontentavano di sistemazioni spartane. Ora quei tempi sono passati e ogni bettola deve presentare fotografie edulcorare e recensioni online per essere scelta, prova ne sia che oggi, a distanza di pochi anni, il "Rifugio degli elfi" ha chiuso i battenti.
Per comodità gestionale o forse per dare l'impressione di maggiore affluenza, il gestore aveva concentrato tutti gli avventori in un solo dormitorio. Don Cyshiter venne fatto accomodare su un materasso bitorzoluto«C'era dalla ghiaia in terra e il mio amico è caduto lungo un tornante.»
«Ma starà bene? Dobbiamo chiamare un'ambulanza?»
«No, non è niente di grave. Ma se aveste un'aspirina anche per me mi farebbe bene, ho certi dolori alla schiena...»
«Sei caduto anche tu?» Chiese la padrona.
«No, è solo che a tirar su la moto caduta devo essermi fatto uno strappo.»
«Ma perché gira con la spada e un bastone? Poteva piantarsela in una gamba se cadeva male.» La signora si faceva più sospettosa.
«Lui è Don Cyshiter della Mandria, un famoso paladino di Selune.»
«E cosa sarebbe, uno spettacolo di teatro?»
«Non sa cos'è un paladino? In due parole, un paladino è uno che è sfigato e famoso allo stesso tempo: un giorno prende un sacco di botte e insulti da chiunque e pochi giorni dopo si può ritrovare con un harem intero di ragazze che gli fanno il filo, da regalare agli amici.»
Don Cyshiter, che aveva sentito tutto il discorso, si sollevò a sedere sul letto e prese la mano della donna.
«Credetemi, mia signora, potete dirvi ben fortunata ad alloggiare la mia persona, di cui non tesso le lodi per modestia ma sulla quale può rendervi edotta il mio scudiero.
Fra gli umani il mio nome è sempre associato a gesta di coraggio e altruismo. Se la vostra antica stirpe ancora non conosce l'ordine dei paladini, presto grazie alle mie azioni ci annovererà fra i più valenti alleati. E fino a quel momento non lontano, che vi rassicuri il sacro nome della dea cui voto la mia spada.»
La donna e le due ragazze capirono di quel discorso più o meno lo stesso che capivano dei discorsi dei turisti Svedesi che occasionalmente soggiornavano lì. Tuttavia intuirono che si trattava di parole cortesi e dotte e lo guardarono con una certa caritatevole ammirazione.
Tanto si prodigarono che, dopo averli fatti riposare tutto il pomeriggio, offrirono la cena a quei due disgraziati che non se la sentivano di andare in cerca di un posto dove mangiare. Così trascorse il resto della giornata.

Capitolo 15

Dove si narra la disgraziata avventura di Don Cyshiter con certi terribili Ianguesi

Mi è stato raccontato dai più stretti amici di Don Cyshiter che egli, allontanatosi dalla commemorazione di Giovanni Berchetto, si inoltrò fra le valli di Lanzo in cerca della bella Marcella per porsi al suo servizio.
È interessante notare come questa ragazza, che in così tanti uomini faceva nascere fantasie carnali, in Don Cyshiter facesse invece ardere il desiderio di avventura.
Dopo due ore di infruttuosa ricerca fra i boschi montani, il paladino e il suo scudiero fermarono le moto in un piccolo slargo sterrato ai bordi di un tornante. Smontarono di sella e si inoltrarono fra gli alberi, avendo intravisto fra gli alberi un ameno praticello dove avrebbero potuto consumare il pranzo.
Lì vuotarono le bisacce e in fraterna compagnia diedero fondo a quel poco che vi rimaneva.
Ma l'avversa fortuna, o più probabilmente Shar la Signora della Notte che mai dorme, volle che corresse per quella strada una macchina occupata da una combriccola di giovani festanti, già alticci prima di arrivare alla festa cui intendevano partecipare.
Avvenne dunque che il guidatore, imboccato il tornante con troppa velocità e traiettoria troppo larga, urtasse violentemente Sgommodura sbattendola in terra, per poi fermarsi contro il guard rail.
Imprecando e bestemmiando, scesero dall'automobile cinque ragazzi e cominciarono a prendere a calci la motocicletta, imputando a quella la colpa per i danni subiti dalla loro vettura.
Allertati da quegli schiamazzi, Don e Sergio si avvicinarono alla carreggiata avendo cura di rimanere nascosti fra le frasche.
«Questi inimici che se la prendono così con la mia cavalcatura, sono per noi un infimo grado di sfida.» Sussurrò Don Cyshiter. «Ti dico questo perché tu sappia che puoi partecipare allo scontro anche senza un'arma a distanza, assicurandoti così almeno qualche Punto Esperienza.»
«Loro sono cinque, noi siamo in due, anzi facciamo uno e mezzo. Penso che l'esperienza sarà pessima.»
«Io ne valgo cento!» Esclamò il paladino. E senza dire altro sfoderò la spada e si lanciò all'attacco.
Sfruttando il fattore sorpresa, Don Cyshiter colpì uno dei nemici alla spalla procurandogli un taglio e una brutta contusione. Sergio si fece trascinare dagli eventi e lo seguì stringendo in mano il bastone che avrebbe dovuto essere la lancia da cavallerie del suo compagno.
Quei cinque, vedendosi così aggrediti, passarono velocemente al contrattacco. Circondati i due avventurieri iniziarono a tempestarli di pugni e calci.
Senza aver sferrato un solo colpo, Sergio ricevette un pugno sulla mascella, una ginocchiata in pancia e due o tre gomitate sulla schiena, dopodiché rovinò a terra.
Don Cyshiter lo seguì a breve giro, dopo aver ripetutamente colpito con i propri zigomi le nocche degli avversari. I ragazzi ebbero cura di adagiarli bene in terra, come si fa con la punta dello stivale contro un fermaporta quando lo si vuol incastrare al suo posto, prima di rimontare in macchina e ripartire.

Scheda del personaggio: Don Cyshiter

I capitolo dal 12 al 14 sono un po' noiosetti così ho pensato, anziché rivederli e renderli più interesasnti, di aggiungere un po' di fuffa.
Che dico fuffa, qui si parla di una cosa seria.
C'è un oggetto che incarna nel mondo materiale l'essenza dei personaggi di altre realtà, interconnettendo il giocatore con il suo alter ego: la scheda del personaggio.
Non è un comune fogloio di carta, è un feticcio, un amuleto totemico, un portale su altri mondi.
Ho visto schede conservate come reliquie attraverso le decadi, altre bruciate a divinità pagane, altre cancellate e usate fino all'ultima fibra della carta in un processo di reincarnazione concettuale.
Poi certo, ho visto schede sporghe di maionese, altre mangiate dal gatto, altre consegnate insieme ai professori del liceo insieme ai compiti delle vacanze... ma di certo non è questa la fine che faceva fare Donato Ciscitta ai propri personaggi.

Ed è in omaggio all'intrepido paladino che ho stilato, signore e signori, la scheda del personaggio di Don Cyshiter.



Si accettano consigli per la build. Il progetto è quello di trovare un posto fisso all'interno del blog dove tenere le schede in evidenza e aggiornarle ad ogni avventura.
Non è detto che poi io porti a compimento questo progetto, anche Cervantes prometteva di scrivere un sacco di cose che poi procrastinava indefinitivamente.


Capitolo 14

Dove si recita la disperata poesia dell'infelice studente, con altri avvenimenti vari ed eventuali

La poesia di Giò:

Un giovane studente in trasferta,
Cogli occhi coperti da coperta,
S'innamorò perdutamente
D'una tipa indifferente
Quel povero sfigato in trasferta.

Tu bella e giovane Piemontese
Che non ti risparmi in offese
Che pretendi complimenti
E che dispensi tormenti
Sei crudele, o lallera Piemontese.

Un ardente innamorato campano,
Che sul cuore teneva un fignano,
Dimenticò la vagina
Assumendo ketamina
Quel dissotato ardente Campano.

Un disperato rimbaudista d'Avellino,
Pieno di droga come un carpellino,
Nel mezzo di un trip
Ricordò la jessipp
O povero percotatto di Avellino.

Tu fregetatta ristina italiana
Nella mia zatta fai rima con pullana;
Mi crellerai volare
Dall'alto del gullare
Tu infimosa rammissita Italiana.

Capitolo 13

In cui bisognerebbe raccontare le vicende di Marcella, ma invece ci si perde in facezie

Nonostante i vizi della sera precedente, si levarono tutti all'alba. Chi riposato, chi coperto di punture di zanzara, chi, come Don Cyshiter, entusiasta di partire per quella strana cerimonia funebre.
Dopo circa un'ora di viaggio stavano percorrendo l'ultimo tratto della statale di Lanzo, a velocità molto morigerata per via del paladino che non poteva tenere in testa il proprio casco e che si ostinava a portare con sé quel bastone che chiamava lancia.
Nell'area verde che affianca la strada, di solito occupata da allegre famigliole per le grigliate domenicali, incontrarono un folto gruppo di ragazzi, accorsi per compiangere l'amico.
Don Cyshiter venne presentato ad alcuni dei presenti. La stranezza del suo abbigliamento spiccava anche in mezzo a persone vistosamente tatuate o cariche di pearcing; qualcuno trovò forse di cattivo gusto la sua eccentricità in un'occasione di cordoglio e gliene chiese ragione.
«La professione a cui mi son dato non mi consente di vestire altrimenti. Il passo agiato, i piaceri, il riposo son fatti soltanto per i delicati cortigiani; ma il travaglio, l'inquietudine e le armi sono proprie di quelli che vengono chiamati dal mondo paladini di Selune, dei quali io sono il minore di tutti.»

Capitolo 12

Del racconto che fece un fricchettone a quelli che stavano con Don Cyshiter

Finita che fu la medicazione, quando già Sergio Zanca pregustava un meritato riposo, un'automobile si avvicinò al rifugio della peculiare compagnie e un giovane fricchettone ne scese unendosi al resto dei suoi amici.
«Bella Pita, come butta?» Lo accolse uno della comitiva.
«Oh, raga, ma avete proprio staccato tutti i cell?
Non la sapete quella di Giò Berchetto?»
«Fa' un po' te, noi siamo in ritiro da tre giorni. Manco ti siedi intanto?»
«È morto, raga, stamattina. E dicono che è colpa di Marcella.»
«Definitivo.
Oh ma colpa, cioè in che senso?»
«'Spè' la roba più allucinante.
Che ha lasciato scritto che vuole essere cremato e che spargono le ceneri alla Stura di Lanzo, dove ha conosciuto Marcella. Il problema però è che i genitori stanno incazzati dibbrutto e ci fanno fare un funerale normale e lo portano nella tomba di famiglia.
Il suo amico Luca però, che sta incazzato dibbrutto pure lui, vuole invece fare come ha detto Giò e, siccome non può, ha invitato tutti a una commemorazione domani alla zona verde della Stura.
Facciamo tipo una preghiera a Madre Terra e ci facciamo sentire l'energia spirituale tutti insieme.
Oh, raga, è 'na roba veramente fichissima, io ci vado di fisso.»
«E ci andiamo tutti per forza, scherzi?» Dissero gli altri fricchettoni.

Capitolo 11

Di quello che avvenne a Don Cyshiter con alcuni fricchettoni

Montati di nuovo in sella si aggirarono pigramente per le strade secondarie che attraversavano il parco fluviale del Po, accompagnati dallo scroscio del fiume e del volo degli aironi.
Don Cyshiter non sembrava intenzionato a tornare sulla più comoda strada statale e Sergio Zanca, combattuto fra il desiderio di trovare una sistemazione confortevole per la notte e la paura di incrociare la polizia, non fece nulla per deviare verso posti più frequentati.
Fame e stanchezza iniziarono a farsi sentire insieme alle zanzare, prima che il sole scendesse dietro le colline del Monferrato. Fu allora che scorsero fra gli alberi un bivacco di giovani campeggiatori.
Erano essi di quegli anticonformisti nonviolenti che ricercano l'armonia col prossimo e con Madre Natura. In quella manciata d'alberi a poche centinaia di metri dal traffico avevano trovato rifugio dalle costrizioni della società consumistica ed avevano ogni intenzione di passare lì la notte in allegra compagnia.
Non avrebbero quei fricchettoni potuto accogliere Don Cyshiter con maggiore cortesia. Sergio parcheggiò Sgommodura e lo scooter fra gli alberi e subito si unì al gruppo che imbandiva una tovaglia da picnic, unendo i propri panini al resto del banchetto fatto di pane, verdure crude, frutta e vari alcolici.
«Guarda, Sergio, quale abbondanza e quale fortuna attende gli avventurieri. Un pasto simile vale più del desinare in qualsiasi ristorante d'elevata caratura.»
«Lo credo bene. Pane e cacio è la cena dei campioni, non chiedo di meglio.»