Capitolo 20

Della giammai veduta ed intesa avventura, che non fu terminata con tanto poco pericolo da cavaliere al mondo con quanto poco fu superata dal valoroso Don Cyshiter della Mandria

«O c'è un fiumiciattolo qui vicino, o c'è qualcuno che sta facendo una pisciata davvero fenomenale.» Disse Sergio Zanca. «Andiamo a vedere, che se trovo un ruscello me lo bevo tutto, comprese le salmonelle.»
A Don Cyshiter piacque il consiglio e seguì l'esploratore, ma dopo la disavventura degli Yuan-Ti non volle lasciare incustodita Sgommodura, e si mise a spingerla a mano lungo il sentiero, facendo luce col fare.
Non avevano fatto molta strada, né avrebbero potuto spingere tanto lontano una motocicletta attraverso il bosco, quando di sentì chiaramente lo scroscio di un torrente, che rallegrò molto entrambi. Non fecero però in tempo a mettere Sgommodura sul cavalletto, che un altro rumore, più inquietante, rimbombò nel buio della notte, cambiando repentinamente il loro umore.
Si trattava di un rombo sordo e profondo, che saliva e scendeva ritmicamente di intensità, alternandosi con un suono che ricordava una forte inspirazione. La solitudine, il posto, l'oscurità, lo stormire delle foglie, tutto insieme cagionava spavento, tanto più che l'alba era lontana e i due non avevano un'idea chiara di dove si trovassero.
Don Cyshiter però, animato dal suo cuore intrepido, salì in sella e imbracciò la lancia dicendo:
«Sergio, devi sapere che io nacqui per volere degli dei in questa età di leoni da tastiera per far rivivere il genuino coraggio dei tempi che furono.
A me sono riservati i perigli, le alte imprese e i memorabili avvenimenti; a me spetta far rinascere lo spirito della Tavola Rotonda, dei dodici nani che riconquistarono la Montagna Solitaria, dei nove della Compagnia dell'Anello.
Poni ben mente, fedele e accorto scudiero mio, alle tenebre di questa notte che metterebbero timore allo stesso dio Gruumsh. Questo è invece per l'animo mio stimolo e sprone, già il cuor mi si gonfia nel petto per il desiderio di intraprendere questa perigliosa avventura.
Perciò tu occultati fra le tenebre come si conface alla tua classe, e attendimi. Se non dovessi vedermi entro tre giorni tu  torna a Robassomero, dove dirai all'incomparabile signora mia Avatar di Selune che questo paladino è morto affrontando un'impresa che lo rendesse degno di chiamarsi suo servo.»
Quando Sergio sentì parlare così il suo amico, si mise quasi a piangere.
«Io non capisco proprio perché devi andare a cercarti guai. È notte, non c'è anima viva, nessuno ci vede, possiamo cambiare strada e evitare problemi e non rischiamo nemmeno di fare la figura dei cagasotto.
Come si dice: non svegliare il cane che dorme, e questi mi sembrano i versi di una bestia che russa.
Io ho lasciato sola mia madre, che è anziana, per venire con te, magari fare due soldi e mettere su l'harem che mi hai promesso. Fin'ora non s'è visto un pelo di fica nemmeno col cannocchiale, e va be', ho preso un sacco di botte e sono stato sbalzato su una coperta, e va be', rischio di venire denunciato che se ci identificano finisco alle Vallette nella cella vicino a mio cugino, e va be', e mo' per ringraziarmi mi lasci qui da solo nel bosco di notte?»
«Mai si dica che ragionamenti o preghiere mi abbiano distolto dal compiere il mio dovere di paladino.
Fatti da parte, Sergio, che Selune mi ha posto in cuore l'urgenza di intraprendere questa ardimentosa avventura, Ella mi guiderà a salvezza a conforterà il tuo dolore.»
Vedendo che le sue parole non avrebbero trattenuto Don Cyshiter, Sergio decise di usare l'astuzia. Mentre il paladino controllava i propri armamenti, egli raccolse uno spesso ramo e lo incastrò fra i raggi della ruota posteriore di Sgommodura.
Quando Don Cyshiter mise in moto e fece per partire, la ruota si bloccò facendolo sobbalzare in avanti. Sergio, vedendo il buon esito del sotterfugio, disse immediatamente:
«Ecco, vedi? Gli dei hanno ascoltato le mie preghiere e non vogliono che tu parti prima che viene luce.»
L'altro però non era convinto; tentò più volte di partire, con inutile quanto cieca caparbietà, finché si rassegnò e spense il motore.
«Poiché Sgommodura non può muoversi, aspetterò con te l'alba, benché io rimpianga questo tempo che ho da aspettare prima di potermi adoprare per il bene del mondo.»
«Qui non c'è da piangere,» rispose Sergio, «ci distraggo io con una bella storiella, a meno che tu non vuoi scendere e dormire un po' sull'erba, come fanno gli avventurieri.»
«Che parli tu di scendere e riposare? Ti paio io forse uno di quei paladini che si fanno un riposo di otto ore dopo ogni scontro per recuperare gli incantesimi? Ti sembro forse uno di quei pavidi che non entrano in un dungeon se non sono full-HP?
Dormi tu, che sei nato per dormire, io mi applicherò a ciò che esige la circostanza, ossia starò in arcione colle armi in pugno.»
«Non te la prendere, dicevo così per dire.» Ci fu uno strepitio e il rumore misterioso crebbe per un momento di intensità. Sergio si accostò alla moto e si poggiò sul sellino per il passeggero, non osando allontanarsi di un passo dal suo amico.
Don Cyshiter gli disse di raccontare la storia a cui aveva accennato prima e Sergio rispose che lo avrebbe fatto non appena la paura glielo avesse permesso.

«Era ciò che era, il bene non viene per tutti e il male lo trova chi lo cerca. E stai accorto che gli antichi non sparavano favole all'impazzata, ma c'è una sentenza di Publio Catone Zibibbo che dice: "E venga il malanno a chi se lo va a buscare", che qui ci sta bene come la mosca nella sambuca, tanto più che dovresti stare qui fermo e non andare in cerca di guai. Anzi, facciamo che tornare indietro che nessuno ci obbliga a stare qui.»
«Prosegui il tuo racconto, e lascia a me il pensiero di dove appostarci.»
«Allora,» proseguì Sergio, «in un paese del Monferrato c'era un allevatore, di quelli che allevano le mucche, il quale pastore, come sto raccontando, si chiamava Lorenzo. Questo pastore Lorenzo era innamorato di una ragazza di nome Ornella e questa ragazza Ornella era figlia di un ricco industriale. Questo ricco industriale...»
«Se tu vai narrando a questo modo la tua storia, e continui a ripetere due volte ogni cosa, non ti basteranno due giorni per finirla. Raccontala normalmente per cortesia.»
«A casa mia le storie si raccontano così e io non so fare in modo diverso. Non è che puoi dirmi tu come si racconta questa storia che conosco io.»
«Ben si capisce perché non hai mai fatto il Master. Dilla quindi come ti aggrada, tanto la mia sorte vuole che io resti qui ad ascoltare.»
«Allora, come ho detto questo pastore era innamorato di Ornella, che era una ragazza un po' ciospa e in faccia c'aveva dei pelazzi che non potevo guardarla senza pensare ad Elvis Presley.»
«Perché, tu l'hai vista di persona?»
«Non proprio, ma la la storia arriva da una fonte sicura e io potrei giurare che Ornella fosse proprio così, come se l'avessi vista io.
Allora, dagli e dagli a furia di essere allontanato da questa ragazza, l'amore di Lorenzo è diventato stizza. A un certo punto, per non vederla più, decise di andarsene nelle Langhe con tutte le sue mucche.
Ornella, che si è vista sprezzata da Lorenzo, ha cominciato a volergli bene più che mai.»
«Questo è il naturale istinto delle donne: disprezzare chi le ama e amare chi le odia.» Commentò Don Cyshiter con la sicurezza di chi non ha mai frequentato donne oltre a sua madre e sua sorella.
«Alla fine,» Riprese Sergio, «il pastore si mise alla testa di tutte le sue mucce e s'incamminò.
Appena l'Ornella lo seppe, partì subito ad inseguirlo, a piedi visto che non aveva la patente, portandosi dietro solo lo zaino Invicta che usava al liceo, dove erano rimasti un vecchio numero di Cioé, un lucida labbra al peperoncino e due Tampax; ma si portasse pure quel che voleva che nelle borse delle donne è meglio non mettere mano.
Il fatto è che il pastore arrivò colla sua mandria alle sponde del Po. Non voleva perdere tempo e deviare per cercare un ponte, perché già gli pareva di avere alle calcagna l'Ornella con le sue lagne e le sue preghiere, allora trovò un barcaiolo e gli chiese di traghettare lui e le sue bestie, che erano più o meno trecento.
Il barcaiolo accettò, ma poteva trasportare soltanto una mucca alla volta. Caricò la prima, la portò dall'altra sponda, e tornò indietro. Ne portò un'altra, poi tornò e ne prese un'altra ancora... tieni il conto delle vacche che porta il barcaiolo, perché se ce ne scappa di mente una finisce la storia.
Allora, la riva opposta era piena di fango e scivolosa, sicché era difficile far smontare le mucche e ci voleva del tempo. Il traghettatore però tornò comunque a prenderne un'altra, e poi ancora una...»
«Fai conto che siano passate tutte e non ti perdere a raccontare ogni transito.»
«Quante ne sono passate sinora?» Chiese Sergio.
«Come diavolo vuoi tu ch'io lo sappia?»
«Ah povero me, ti avevo detto di tenere il conto! E adesso come faccio ada andare avanti?»
«E come può essere? È così essenziale per la storia sapere il numero esatto, che se sbagli il conto non puoi proseguire?»
«E già. Perché quando ti ho chiesto quante vacche erano passate e mi hai risposto che non lo sapevi, allora mi è scappato di mente il resto della storia, che era pure molto interessante e divertente.»
Rimasto senza parole, Don Cyshiter tentò una nuova partenza con Sgommodura, senza però riuscire a muoversi né a capire l'inganno del bastone fra i raggi della ruota.

Che sia per il fresco della notte, che sia per quello che aveva mangiato a cena, o più verosimilmente per un naturale richiamo, a Sergio venne l'impellenza di fare quello che nessun altro avrebbe potuto fare per lui. Tanto grande era però la sua paura, che non si osava allontanarsi di un passo dal suo amico.
Ma poiché gli era impossibile ignorare questa stringente necessità, continuò a stringere con un braccio la coda della moto, e con la mano libera si slacciò la cintura e abbassò le braghe.
Appena iniziò a rilassarsi, si accorse che non avrebbe potuto liberarsi senza fare qualche rumore che lo tradisse; cominciò a stringere i denti e incassare la testa nelle spalle, trattenne il fiato più che poteva ma tutto ciò non bastò ad impedire che uscisse un rumore diverso da quello che lo aveva spaventato fino ad allora.
Lo sentì Don Cyshiter e disse:
«Sergio, che strepito è questo? È forse il verso di un rugginofago?»
«Non lo so. Sarà qualche altra novità perché le avventure e le disavventure... nonvengono maisole.» E nel dire questo Sergio si trovò libero di quel fardello che aveva recato tanto fastidio.
Don Cyshiter aveva buono il senso dell'olfatto come quello dell'udito e il compagno gli era così vicino che i miasmi salivano quasi in linea retta. Quando furono alle sue narici il paladino si tappò il naso con due dita e parlando con la mano davanti alla bocca disse:
«Parmi, Sergio, che tu abbia gran paura.»
«Eh sì. E come lo capisci che ho più paura adesso che prima?»
«Perché adesso più che mai emani un odore che non è d'ambra.»
«Può anche darsi, ma non è colpa mia. Sei tu che mi porti in giro a queste ore assurde, per strade deserte e boschi oscuri.»
«Tirati in là di tre o quattro passi, amico,» disse Don Cyshiter senza levar la mano dal naso, «e d'ora innanzi ricordati di quella dignità che dovrebbero avere gli aspiranti eroi e del rispetto dovuto ad un paladino, e che la molta dimestichezza non trapassi in noncuranza.»

In questo e simili ragionamenti, paladino e scudiero trascorsero la notte.
Vedendo che il giorno si avvicinava, Sergio tolse di soppiatto il bastone che bloccava la ruota motrice. Ad un certo punto Don Cyshiter si rese conto che la moto era in qualche modo più libera e lo prese come un segno degli dei, infatti il giorno si stava levando in quel frangente.
Senz'altro indugio diede gas e tornando a prendere commiato da Sergio spiegandogli nuovamente di aspettarlo fino a tre giorni, passati i quali avrebbe dovuto portare il suo messaggio d'addio all'avatar di Selune.
Sergio ancora una volta fu sull'orlo del pianto e finalmente si risolse a non abbandonare il proprio compagno fino al termine di quell'avventura, qualunque esso fosse.
Quell'affermazione commosse anche il paladino, che però non volle darlo a vedere e dissimulando al meglio avanzò lentamente verso il luogo da cui arrivavano quei rombi, quei sibili e quei sospiri.
Con Sergio sempre attaccato alla maniglia posteriore della moto, giunsero in uno spiazzo dove gli alberi lasciavano il posto ad un piccolo praticello, in mezzo al quale stava una struttura di cemento dalla forma cubica, cinta da una rete metallica.
Alla luce del faro, quella struttura da cui provenivano i rumori che tanto li avevano impressionati, si rivelò per ciò che era: un piccolo impianto di depurazione o smistamento dell'acqua montana.
Rendendosene conto, Don Cyshiter ammutolì e chinò il capo. Gettando un occhio a Sergio vide che aveva le guance gonfie, sul punto di scoppiare a ridere. Nonostante la delusione per il poco discernimento dimostrato, si sforzò di ridere lui stesso e Sergio, vedendo che il compagno lo assecondava, proruppe in una serie di risa sguaiate.
Si fermò quattro volte, e per quattro volte ricominciò a ridere più forte di prima.
«C'hai da sapere che io nacqui per volere degli dei in questa età di leoni da tastiera per far rivivere il coraggio dei tempi della Tavola Rotonda.
A me sono riservati i perigli, i conigli e tutte queste cazzate.» Ripeteva Sergio, per poi tornare a scompisciarsi.
Ma Don Cyshiter, sentendosi burlato, alzò il bastone che usava per lancia e lo calò sulla schiena dello scudiero con tanta forza che, se lo avesse preso in testa, lo avrebbe lasciato tramortito.
«Stavo solo scherzando!» Urlò Sergio. Si fece anche sfuggire una bestemmia, ma per fortuna non bestemmiò Pelor, che il paladino non glielo avrebbe perdonato.
«Se tu scherzi, io faccio davvero.
Ti pare che io sia tenuto a identificare tutti i rumori?
I tiri percezione non sono forse appannaggio del burglar?
E pensi che se fosse stata una vera minaccia, financo un terrasque, io avrei dimostrato meno coraggio?
Sai tu forse chi fu lo scudiero di Saint Benedor il grande paladino detto dalla Mano Cinerea? Sai chi fu il suo scudiero?»
«No, ma veramente, io non...»
«Non lo sai, come non lo sa nessuno.
Perché i grandi scudieri dei grandi paladini stanno zitti, non  attirano l'attenzione, e non ridono a sproposito.
E guarda caso anche i buoni scassinatori non si fanno sentire.
Tu quindi, che dovresti essere uno scudiero di classe ladro, sforzati di essere più silenzioso e discreto.
La tu tracotanza è il motivo per cui non hai successo con le donne, e se non vi poni rimedio essa ti farà perdere immediatamente l'harem che ti donerò quando ne avrò occasione.»
E colpendo l'amico nel vivo con questo ultimo sferzante commento, Don Cyshiter terminò lo sfogo.

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