Capitolo 40

Seguita la storia "Dove vanno a finire i calzini spaiati?"

Finché si abita in una sorta di centro sociale si accetta volentieri di vivere fianco a fianco con Spiriti e Folletti, ma nella vita di coppia ci sono alcuni momenti in cui si vorrebbe avere la certezza di essere soli. Mi adoperai quindi per capire se in casa avessimo veramente ospiti, e eventualmente di che tipo esatto di presenze si trattasse. L’esperienza mi aveva insegnato che la prima cosa da fare era lasciare delle piccole offerte, dolcetti o cose simili. In base al tipo di offerte che avrebbe gradito, avrei anche potuto intuire con che tipo di Spiritello avevamo a che fare.

Scoprii che i miei biscotti della colazione non interessavano a questi magici ospiti torinesi, né altro cibo che avevamo in casa. Chiesi un paio di volte a Viola, che solitamente si occupava della spesa, di prendere qualche dolcetto più sfizioso ma anche questo non funzionò.

«Hai preso i gianduiotti che ti avevo chiesto?»

«Sì, li ho presi… ma poi mi annoiavo e li ho mangiati!»

Insomma, il tempo passava ed io semplicemente mi abituavo ad usare calzini spaiati. Fortunatamente porto solo calzini neri e lunghi, penso che nessuno abbia mai notato la piccola asimmetria del mio vestiario.

Ebbi un primo indizio mesi dopo, in un periodo in cui avevamo partecipato ai matrimoni di alcuni amici e parenti.

«Viola, che fine hanno fatto i confetti del matrimonio di ieri? Li avevo posati qui sul tavolo.»

«Pensavo li avessi presi tu insieme a quelli del matrimonio di tuo cugino. Credevo stessi facendo un campionario per scegliere i più buoni, sai, per quando dovremo sceglierli noi.»

«Figurati. Io non li ho toccati, e nemmeno quelli di mio cugino.»

«Ah no? Saranno stati i Folletti allora.»

Il tono un po’ scocciato della mia ragazza mi faceva capire che questa storia delle sparizioni le dava sempre più fastidio. Per fortuna però avevo l’indizio dei confetti da cui partire. Decisi di chiedere consiglio ad un caro amico.



L’amico di cui parlo è una persona di una certa notorietà impegnato in politica e in una serie di altre attività in vista, mi ha gentilmente chiesto di non fare il suo nome, per cui mi limiterò a chiamarlo “il mio amico saggio”.

Lo andai a trovare una domenica, come faccio ogni tanto, e gli raccontai tutta la storia. Conosceva già le mie precedenti esperienze con lo Scazzamurrillo e sapevo che non mi avrebbe preso in giro.

«Devo capire con chi abbiamo a che fare, non si tratta solo delle calze, questa storia sta minando la nostra serenità domestica.»

Lui mi guardava, facendo respirare un calice di vino, che mi aveva offerto come da abitudine, e che come da abitudine avevo declinato.

«Mi sembra un po’ fragile come scusa per non sposarti.» Se ne uscì.

«Sposarmi? Cosa c’entra? Scusa, come faccio ad essere certo di saper portare avanti per tutta la vita la convivenza con Viola se non riusciamo nemmeno a gestire la biancheria?»

«Ovvio che tu non possa esserne certo. Ma puoi essere sicuro di ciò che vuoi adesso. E se tu oggi vuoi stare con lei per il resto della vita, allora sarà meglio che ti dia da fare.»

«Ok, ma che fretta c’è? Siamo giovani, stiamo facendo le prove generali.»

«Non c’è prova che ti possa assicurare come sarà il vostro rapporto fra trent’anni.

Capisco che vogliate rendervi conto di cosa significa essere una coppia, c’è però un confine fra provare e tergiversare. Può essere un confine sottile ma sono sicuro che in fondo tu sappia se lo stai passando o meno.»

Il silenzio rimbombò per un attimo nell’ampio salone di casa del mio amico.

«Non so,» borbottai, «può darsi. Tu cosa ne pensi?»

«Penso che chiunque vi stia rubando i calzini non si limiterà a quello. Però potrebbe non essere così terribile, in fondo anche lo Scazzamurrillo faceva sparire delle cose, eppure vi faceva piacere, no?»

«È ancora valida l’offerta del vino?»




Le nozze sono così tediosamente documentate altrove che non mi sembra opportuno dilungarmi qui. Furono un’esperienza felice, dopo di che riprendemmo la nostra vita di sempre. Per diverso tempo quando qualcuno mi chiedeva come ci si sentisse da sposati rispondevo «Esattamente come prima», finché il mio testimone di nozze non mi rispose «E allora perché ti sei sposato?»

Riflettendoci un attimo qualcosa doveva essere cambiato, in meglio direi ma mi era difficile focalizzare esattamente cosa.

Andavo più spesso a trovare il mio amico saggio, con un certo senso di gratitudine, ma di certo non erano cessate le sparizioni. Si annoverano fra i dispersi un paio di scarpe basse nere di mia moglie, numerose grucce per pantaloni, una lettera di auguri per l’anniversario di matrimonio della quale ho ottenuto una copia solo tornando indietro nel tempo (una lunga storia, magari un’altra volta, tanto non mi credereste), un paio di orecchini, il contenuto di una scatola di biscotti ricoperti Togo®, etc. etc... Ovviamente i biscotti potrebbero essere stati semplicemente mangiati ma Viola sostiene di non averlo fatto e io le credo.

Comunque mi stavo abituando a convivere con queste dematerializzazioni, ad esempio era prassi comune cercare la biancheria un po’ ovunque: sotto i mobili, nelle borse… a volte ritrovavo qualcuno degli innumerevoli calzini scomparsi nel cestino dell’immondizia. Lo stesso cestino dell’immondizia dal quale seppi che sarei diventato padre.

Mi ero appena svegliato, non avevo ancora preso il caffè, quindi i miei sensi si aggiravano in un limbo solo parzialmente in contatto con il mondo reale. Mentre fissavo inebetito il bollitore che lentamente si scaldava, si insinuò in me l’idea che ci fosse qualcosa di strano. Ci misi un po’ a focalizzare, poi realizzai che ero solo in casa. Questo avrebbe dovuto in qualche modo spaventarmi o almeno scuotermi ma come ho detto non avevo ancora preso il caffè, ero come un pugile strafatto di tavor: troppo lento nelle reazioni ma insensibile ai colpi.

Ci volle ancora un po’ prima che riaffiorassero alla memoria alcune parole della sera precedente: «Blahblahblah gravidanza blah blahblah urina del mattino.»

Dopo una robusta dose di bevanda stimolante misi insieme i pezzi del puzzle, trovai nell’immondizia del bagno il test di gravidanza e mi immaginai Viola che vagava disperata per il quartiere senza una meta, piangendo e tentando di contattare il servizio clienti della casa farmaceutica per capire se il test fosse attendibile o meno.

Provai a chiamarla sul cellulare, non rispondeva.

Purtroppo però era ora di andare a lavorare, quindi dovetti disinteressarmi alla faccenda.

Per le eventuali lettrici che già si staranno scagliando contro l’insensibilità maschile, faccio presente che Viola stava benissimo, essendosi svegliata presto era uscita per non disturbarmi. La mia non è insensibilità, è fiducia.



Questo sarebbe il punto del racconto in cui dovrei descrivere alcuni episodi teneri e divertenti della nostra vita da genitori. Devono essercene stati ma credo di non averli registrati nella memoria a lungo termine a causa delle condizioni di stress e carenza di sonno.

Mi ricordo che la bambina amava fissare i calzini che giravano nella centrifuga della lavatrice, noi la lasciavamo parlare con l’oblò ma sempre sotto attenta sorveglianza perché rimaneva il dubbio del wormhole.

Mi ricordo la prima parola, un casuale “papà” a cui, essendo le due di notte, ho risposto: «Papà sta dormendo.»

Potremmo farci due risate se avessimo ripreso la scena in cui Viola, dopo aver fatto saltare e girare la bimba come su un otto volante, la reggeva di fronte a sé mentre quella annaffiava contenta il tappeto di vomito. Io correvo avanti e indietro dalla cucina portando un foglio di scottex alla volta, quando sarebbe servita come minimo una bacinella, e nostra figlia rideva di gusto fra un getto e l’altro.

Nel complesso però la nostra realtà familiare non è di quelle sempre spensierate. Casa nostra non è un colorato tendone da circo, montato cantando con l’aiuto di pagliacci e animali carini. È più una casa costruita da muratori che imprecano perché l’architetto non ha lasciato istruzioni chiare.

Alla fine però si sa che le case di mattoni sono le uniche che reggono quando arriva il lupo a soffiare.

Così, se la nostra bimba ci regala pochi momenti spensierati, ci lascia la gratificante sensazione di contribuire a far crescere una persona e ci dona l’opportunità di guardare ancora il modo attraverso gli occhi di un bambino, o per lo meno nel loro riflesso.

Ma torniamo ai calzini. Le sparizioni sono andate progressivamente scemando nei primi dodici mesi di vita della bimba, con un po’ di soddisfazione ho anche pensato che Viola ed io stessimo diventando più ordinati, però questa da sola non era una spiegazione sufficiente.

Una notte insonne, mentre cercavo di estraniare la mente dalle urla di mia figlia che pretendeva di passeggiare tutta la notte in braccio a me, ho fatto un rapido calcolo: un calzino perso ogni 2 giorni, di cui circa la metà ritrovati, per 4 anni, sono comunque 365 calze. Scomparse senza lasciare traccia?!

Ebbi risposta alla Domanda una notte di inizio Autunno.

Viola si era occupata dei risvegli notturni della piccola durante tutto il periodo dell’allattamento, il ché significa che io devo occuparmene in esclusiva da fine allattamento fino alla maggiore età.

Avevo preso servizio da poche settimane, lei aveva poco più di un anno e le sparizioni improbabili erano pressoché cessate.

Al primo grido ho spalancato gli occhi, al secondo sono scattato in piedi. La stanchezza notturna mi è ripiombata addosso dopo circa cinque passi. Usando la libreria come sostegno e guida nell’oscurità ho raggiunto il letto della bimba che al tempo si trovava in un angolo del salotto, dietro il televisore.

Dal lettino a sbarre sono arrivati dei rumori, un verso. Non sembrava star male, cosa che spesso prelude al peggio perché potrebbe aver deciso che sia ora di svegliarsi, indipendentemente da cosa indichi l’orologio. Ho tastato il giaciglio al buio aggrappandomi alla speranza che si fosse solo scoperta ma ho subito sentito che qualcosa non andava. Era seduta in cima a qualcosa, qualcosa che riempiva completamente il box. Ho acceso una piccola luce guida.

Era tutto ammucchiato nel lettino: centinaia di calzini di ogni tipo, scarpe, grucce, fogli di carta, ogni cosa dispersa nel corso di oltre quattro anni. In cima a quel cumulo, come un Leprecauno sulla sua pentola piena d’oro, era seduta mia figlia che mi sorrideva contenta che avessi trovato la fine dell’arcobaleno.

Ho cercato di svegliarti, Viola, ma fra sonno pesante, tappi per le orecchie e mascherina sugli occhi non c’è proprio stato verso. Avresti dovuto vedere: c’erano gli orecchini che ti aveva regalato Benedetta e tutte le liste della spesa scomparse che hai dovuto riscrivere. C’erano le mie calze estive, quelle che mi sarebbero servite nella nostra estate in Corsica quando avevo i piedi cotti da calzettoni di lana. Era lì anche il tuo maglione premaman, quello con un solo bottone che abbiamo cercato in tutti i negozi di Torino. Ehi, però i biscotti al cioccolato non c’erano!

In un attimo mi fu chiaro: le calze spaiate e tutti gli altri pezzetti della nostra vita non sono svaniti nel nulla. Li ha presi lei, lo faceva ancor prima di nascere, quando era puro desiderio di vita. O forse siamo stati noi stessi inconsciamente a mettere da parte schegge della nostra esistenza, ricordi per costruire la cuccia, l’humus, per questo esserino.

L’incanto ad ogni modo è durato pochi istanti, il pragmatismo è una dote che ogni genitore deve sviluppare se non vuole soccombere.

«E adesso chi mette a posto tutta questa roba?»

Lei ha sorriso mostrando tutti e due i denti.

«Papà!»



Non ho molti altri ricordi di quella notte. Non credo di aver dovuto riordinare nulla, le cose sono tornate in quella dimensione magica da cui si erano per un attimo affacciate.

Come spesso succede agli esseri umani, il nostro cucciolo crescendo ha perso i propri poteri magici. Conserva ancora alcune capacità, ad esempio può trasformarsi a proprio piacimento in un T-rex o in una Guerriera Sailor, ma le sparizioni sembravano cessate.

Meno di due anni dopo quella notte però ci trovavamo in vacanza in un appartamentino in mezza montagna. Camera e cucina, pochi mobili, scarsissime possibilità di perdere qualsiasi cosa. Ricordo che ci stavamo preparando per andare a trovare un nostro amico allevatore di cavalli quando udii un ronzio familiare:

«Bhlabhlabhla bhla bhlabhla, bhla non trovo bhlabhla cellulare!»

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