Accreditare la propria opera

Frequentando la blogosfera (mi piace questo termine, mi ricorda quei mostri strani di D&D tipo il cubo gelatinoso) mi sono imbattuto in numerosi consigli, avvertenze, e anche non pochi diktat sulla scrittura creativa. Mi sono divertito a leggerli e alcuni di questi mi sono stati utili, quindi è sorta anche a me la voglia di mettere a disposizione degli altri la mia esperienza e abilità.
Il problema è che io non possiedo né l'una né l'altra.
Da qui l'idea di offrire un supporto digitale ad un Maestro che ha molto da offrire sull'argomento ma che non può scrivere il proprio blog, essendo morto da alcune centinaia d'anni.
Parlo ovviamente di Cervantes, il quale dispensa non pochi consigli nei prologhi delle sue opere, per chi ha occhi per leggere.
Certo, si potrebbe leggere direttamente i suddetti prologhi, ma se fate così io che ci scrivo su questo blog?Ecco a voi dunque il secondo appuntamento non richiesto con la rubrica:

Riguardo i Maestri

L'argomento che vorrei trattare oggi è quello che sembra stare più a cuore a Cervantes nel prologo della prima parte del Don Chisciotte, ossia come rendere autorevole la propria opera in vista delle critiche del pubblico.

Capitolo 25

Degli estenuanti allenamenti cui si sottopose nel Cusio il valoroso paladino della Mandria

Don Cyshiter ripartì spingendo la moto, seguito di malavoglia da Sergio che dentro di sé rimuginava diversi pensieri.
«Avrei un po' di cose da dire, ma poi va a finire che tu ti incazzi e mi pigli a bastonate in testa se non sto zitto, manco fossi il tuo servo. Mi vien voglia di tornarmene da mia madre, ma tanto pure lei usava il battipanni quando dicevo qualcosa che non le andava.»
«Ho capito Sergio, ti è sorto quell'irresistibile impulso di lamentarti che a tratti ti coglie, come la fame e la sete. Né posso biasimarti più di tanto, essendo esigenza tipica della terra in cui nascesti, e essendo ormai giorni che ti ritrovi nell'impossibilità di scrivere vacue lamentele su Facebook.
Parla dunque, e ti ascolterò con la tolleranza con cui accolsi il tuo suggerimento di fuggire le ritorsioni di quegli indegni rappresentanti della legge. Ma bada che tale grazia si intende fatta solo fintanto che ci aggireremo per queste amene montagne.»
Cominciando immediatamente a godere del beneficio di quel salvacondotto, Sergio chiese:
«Ma che ti fregava di prenderti così tanto impegno per quella Cristiana, o come si chiama? E che ti importa che quell'altro fosse innamorato o no? Se tu ci passavi sopra, anziché stare a pontileggiare su tutto, il pazzo finiva la sua storia e avremmo evitato di prendere altre botte»
«Vuoi dire "pontificare". In fede mia, Sergio, se tu sapessi come so io quale alta e valente eroina fu Dama Crysania e in qual modo fu ella abbandonata, troveresti che io sia stato estremamente tollerante nell'ascoltare gli spropositi di quello sventurato.»
«Sarà, ma quello è matto, e ai matti si dà ragione, perché se non avessi avuto il solito culo, quel sasso te lo saresti beccato in fronte anziché sul petto, e allora chi la proteggeva più la tua dama?»
«Se è obbligo dei paladini difendere l'onore del gentil sesso dai pazzi come dai savi, tanto più dovuto nei confronti di una donna che ha condiviso la nostra sorte di avventurieri, e anzi ha eccelso. Sappi che, pur tralasciando la sua grande bellezza, ha rinunciato ad una vita agiata per mettersi al servizio del Bene. Innamoratasi del potente quanto egoista Raistlin Majere cercherà di aiutarlo e redimerlo, ma l'unico risultato sarà di essere abbandonata e resa cieca. E pur priva della vista ha sempre continuato la propria lotta per il Bene.
Sbaglia dunque, e anzi mente, chi acclama Raistlin Majere come eroe degno di questo nome.»
«Io non acclamo niente, dico solo che dico come il proverbio che dice "chi si fa i fatti suoi campa cent'anni" e "donne e motori son gioie e dolori".»
«Santo Pelor, Sergio, ma che vai farneticando, e che c'entrano queste tue filastrocche?!
È meglio che torni al tuo silenzio e ti occupi di spingere il tuo Grigio.»

Ora il lettore attento si starà chiedendo da dove spunti il Grigio, ossia lo scooter di Sergio, visto che in precedenza ho raccontato di come fosse stato rubato da Gino Passamonte.
Ebbene, non lo so.
Narrare le mirabolanti imprese di Don Cyshiter è un fine gioco di ricerca, immaginazione, ricostruzione e scrittura. Nel processo qualcosa deve essere andato storto, ma questi sono i fatti così come li ho ricostruiti al meglio delle mie possibilità. E se tali fatti sembrano andar contro la logica, chi sono io per dire che non possa essere andata proprio così?
E siete voi forse ancora così ancorati alle concezioni di logica aristotelica da voler negare che se una cosa è stata portata via non può essere ancora presente?
Don Cyshiter insegna diversamente.
Ma torniamo a noi...

Capitolo 24

Seguita l'avventura del Lago d'Orta

Don Cyshiter attese in interesse che lo sventurato dicesse qualcosa.
«Chiunque lei sia, apprezzo la cortesia con cui mi tratta, ma posso ringraziarla solo a parole e chiedere se ha qualcosa da mangiare che può condividere.»
«Non intendo condividere solo il viatico, ma porre al vostro servizio la mia stessa spada; perché se vi è un rimedio atto a sanare il profondo dolore che la vostra condizione palesa, sarà mio onore e onere trovarlo, per l'investitura di paladino che io, benché indegno, ho ricevuto.
Sono io dunque che vi imploro, mio signore, per la molta cortesia che dimostrate, che mi raccontiate chi voi siate e la causa che vi ha tratto a vivere in queste condizioni selvagge, che non sono vostre di nascita come dimostrano il vostro orologio e il vostro bel parlare.»
Lo Stracciato d'infelice aspetto, sentendo parlare in quel modo il Paladino dalla Trista figura, non faceva altro che squadrarlo da capo a piedi, e dai piedi alla testa. Dopo averlo studiato a lungo, soggiunse:
«Se ha di che darmi da mangiare, me lo dia, per carità. Io dopo essermi sfamato farò quel che mi si chiede, in segno di gratitudine.»
Si intromise Sergio, che già vedeva le ultime briciole lasciare le sua bisacce.
«E lei e voi, e io. A sentirvi parlare si direbbe che ci sia una conferenza a Bakkingan Palas, e invece siamo solo noi tre, e stiamo in mezzo a una strada.
Per davvero in mezzo alla strada. Leviamoci di qui prima che ci mettano sotto.»
Si spostarono dunque in un luogo più sicuro, non lontano, e Sergio diede al vagabondo quanto gli rimaneva di commestibile. Quello mangiò pane e cacio infilando in bocca un boccone dopo l'altro, inghiottendo prima e masticando poi.
Quando ebbe terminato, riprese a parlare:
«Se davvero volete conoscere le mie sfortune, mi dovete promettere che non interromperete la mia storia con domande o altro, altrimenti il mio racconto finirà lì.»
Questo presupposto fece venire in mente a Don Cyshiter (e anche a me) la storiella di Sergio delle mucche traghettate, interrotta quando se ne perse il conto. Ma torniamo al nostro Stracciato, egli proseguì dicendo:
«Ve lo dico perché sono ricordi che mi fanno stare molto male e non voglio soffermarmi più dello stretto necessario, ma vi assicuro che non mancherò di dovizia di particolari e soddisferò la vostra curiosità.»
Don Cyshiter promise a nome proprio e del suo scudiero di astenersi da domande e commenti.