Accreditare la propria opera

Frequentando la blogosfera (mi piace questo termine, mi ricorda quei mostri strani di D&D tipo il cubo gelatinoso) mi sono imbattuto in numerosi consigli, avvertenze, e anche non pochi diktat sulla scrittura creativa. Mi sono divertito a leggerli e alcuni di questi mi sono stati utili, quindi è sorta anche a me la voglia di mettere a disposizione degli altri la mia esperienza e abilità.
Il problema è che io non possiedo né l'una né l'altra.
Da qui l'idea di offrire un supporto digitale ad un Maestro che ha molto da offrire sull'argomento ma che non può scrivere il proprio blog, essendo morto da alcune centinaia d'anni.
Parlo ovviamente di Cervantes, il quale dispensa non pochi consigli nei prologhi delle sue opere, per chi ha occhi per leggere.
Certo, si potrebbe leggere direttamente i suddetti prologhi, ma se fate così io che ci scrivo su questo blog?Ecco a voi dunque il secondo appuntamento non richiesto con la rubrica:

Riguardo i Maestri

L'argomento che vorrei trattare oggi è quello che sembra stare più a cuore a Cervantes nel prologo della prima parte del Don Chisciotte, ossia come rendere autorevole la propria opera in vista delle critiche del pubblico.

Io non ne capisco niente di letteratura secentesca ma da quel prologo si legge chiaramente che era in uso, per nobilitare un libro di prossima pubblicazione, accompagnarlo con un'introduzione ad opera di qualche personaggio illustre del mondo letterato e/o nobiliare. Cervantes ci parla di "innumerabil caterva degli usitati sonetti, epigrammi, od elogi che sogliono essere posti in fronte ai libri".
Ci racconta che scrivere il necessario prologo è stato per lui una vera sofferenza, tanto che ha più volte meditato di cestinare tutta l'opera. Temeva che la mancanza di riferimenti dotti e introduzioni autorevoli lo avrebbe fatto sfigurare davanti a "quell'antico legislatore che chiamansi volgo".
Per fortuna, prosegue il racconto, un amico gli ha suggerito candidamente di comporre da sé la sviolinata introduttiva, attribuendola a questo o quell'altro nome altisonante. Quanto poi ai riferimenti dotti che avrebbero reso il romanzo più erudito, era sufficiente mettere a margine delle citazioni raffazzonate, più o meno pertinenti, purché si rifacessero ad opere antiche.
Questo ha convinto Cervantes, che si è risoluto di pubblicare l'opera e scrivere questo splendido prologo, dove non finge nulla di quanto suggeritogli ma spera di incontrare comunque il favore dei lettori per aver fatto loro conoscere il famoso Sancio Panza, nel quale avrebbero incontrato "congiunte tutte le disgrazie scudierili che s'incontrano sparse nella caterva degli inutili libri di cavalleria".

Ora, cosa possiamo noi ricavare da tutto ciò, quattrocento anni più tardi?
Per vedere se arrivate alle mie stesse conclusioni, copio qui un paio di citazioni prese dalla quarta di copertina di un paio di libri che ho sotto mano:
Uno scrittore di talento straordinario. ********** è un romanzo che incanterà qualunque lettore.
 -El paìs
La più grande opera di narrativa popolare mai prodotta.
-Damon Lindelof
Queste due citazioni non danno assolutamente alcuna informazione al potenziale lettore su cosa egli abbia tra le mani, se non il fatto che a qualcun altro questi libri sono piaciuti molto.
Nel primo caso direi che, se come lettore mi fa storcere la bocca, come dilettante scrittore la capisco: se su El Pais pubblicassero una frase del genere riferita ad un mio libro, probabilmente la ripeterei in continuazione col megafono, tipo quando arriva l'arrotino.
La seconda citazione invece è proprio solo citazionismo autocelebrativo.
Quanti di noi conoscono Damon Lindelof? Quanti conoscono invece Watchmen, fumetto sulla cui quarta di copertina si trova questa frase?
Voglio dire: se sei così nerd da sapere chi è Damon Lindelof, non hai certo bisogno che sia lui a dirti quanto è figo Watchmen.
Però evidentemente, a quattrocento anni di distanza, questa usanza di rendere più accattivante un'opera con citazioni di lode, è ancora ampiamente utilizzata.

Un altro modo di rendere più autorevole un'opera, è quello di accompagnarla ad una prefazione di un autore illustre. Si usa molto in campo tecnico, dove il nome di una persona riconosciuta come competente diventa garanzia di qualità, ma anche semplicemente a livello commerciale, perché un nome noto vende di più.
In questo secondo caso ho visto degli estremi per i quali non so se provare compassione o indignazione, tipo questo:
Roberto Saviano ha scritto una prefazione di poche pagine a questo romanzo, e il suo nome viene stampato prima e più grande di quello dell'autore.
Ora, Anatole France ha ricevuto un Premio Nobel per la letteratura, non credo che abbia bisogno di ulteriore autorevolezza. Però evidentemente Saviano è molto più conosciuto dal pubblico cui si rivolge questa casa editrice, ed ecco che il suo nome sugli scaffali diventa un segnale pubblicitario.

E quindi cosa vi fanno pensare questi esempi?
Siete o non siete indignati?
Provate un moto di rivolta infrabudellare da lettori che non si vogliono adeguare alla mercificazione della cultura letteraria?
Spero di no perché, se vi indignate per questo, al primo telegiornale che vedrete vi verrà un aneurisma.
Certo, non sono scritte che vorrei vedere stampate su un'edizione di lusso, ma da qui a lapidare un editore perché si fa pubblicità...
E allora, dove voglio arrivare con tutto questo discorso?
Non lo so.
Però visto che ho scritto tutto 'sto post, devo almeno inventarmi una conclusione:
Noi dilettanti scrittori, privi di agganci e di estimatori illustri che accreditino la nostra opera, possiamo seguire il consiglio del prologo del Don Chisciotte, e se troveremo un editore che sia sulla nostra stessa lunghezza d'onda potremo vere una sovracopertina come questa:



P.S.
La prima citazione di questo post è tratta dalla quarta di copertina di Ladri di inchiostro, un interessantissimo romanzo che ruota intorno al Chisciotte, di cui avrò modo di parlare ancora.

P.P.S.
Se non si è curato, in questo caso, di pubblicizzare la sua opera con lodi e sonetti, comunque Cervantes la pagnotta a casa doveva portarla.
Sempre dallo stesso prologo si capisce che la tecnica usata è una grandissima leccata di lodare i potenti protettori che lo sovvenzionavano (o tempora o mores).
Anche se il mio primo moto è di guardare a questo atteggiamento con superiorità, la realtà del mio quotidiano mi suggerisce che una certa dose di ossequi è dovuta a chi potrebbe potenzialmente sovvenzionare gli scrittori, cioè alle case editrici.
Anche di questo mi piacerebbe tornare a straparlare.

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