Capitolo 26

Continuazione delle prodezze che fece Don Cyshiter nel Cusio e racconto dell'ambasceria di Sergio Zanca

Continuando il racconto di ciò che fece il paladino dalla Trista Figura quando si trovò solo, dice la storia che dopo aver tirato calci all'aria e aver corso a torso nudo per più di tre minuti ininterrotti, salì sopra un grosso masso erratico; lì tornò a volgere il pensiero ai massimi ragionamenti che occupavano il suo intelletto.
«Alla fine,» pensava fra sé e sé, «Martin non è stato questo grande innovatore.
Una barriera di ghiaccio che divide il continente? Hickman e Weis in Dragonlance.
Un'antica stirpe nobiliare decadente che, proveniendo da un'isola ha soggiogato le altre nazioni con la forza dei draghi? I Melniboneani di Moorcock.
Il gioco dei troni? La guerra della due rose. Anche i nomi sono assonanti... York e Lancaster.
Ma forse l'abilità di uno scrittore non si misura nella capacità di trovare nuovi elementi, ma in quella di raccontare sotto nuova luce cose già conosciute, proprio perché archetipi radicati nell'animo umano.
La spada di Shannara fu un plagio ancora più palese e meno fantasioso, eppure lo si annovera fra i massimi esponenti del fantasy perché ha saputo raccontare una storia antica con nuove parole.
Dunque non dovrei rammaricarmi per la scarsa inventiva di Martin ma anzi lodarlo perché i suoi libri hanno portato una ventata di innovazione in un genere che stava ristagnando.
Eppure non posso trattenermi dal biasimarlo per il continuo dilatarsi dei tempi di scrittura e pubblicazione.
Anche Robert Jordan ha scritto una saga da migliaia di pagine ed ha impiegato più tempo di quanto la natura non gli abbia concesso. Eppure egli ha sempre pubblicato con regolarità, senza che i lettori affrontassero attese sconvenienti. E soprattutto si è preoccupato che il destino della propria storia finisse in mani capaci, non certo in quelle di un branco di sceneggiatori prezzolati che badano solo all'audience televisivo.
All'arte non si confà la fretta, questo è vero, ma deve pur esistere un metro per uno scrittore professionista, o incorrerà nel peccato più grave: annoiare il lettore.»
Tali erano i pensieri profondi partoriti da Don Cyshiter nel suo ritiro spirituale.
Ma sarà ora cosa opportuna lasciarlo occupato nelle proprie riflessioni per passare al racconto di ciò che avvenne a Sergio Zanca nella sua sub-quest.

Giunto non senza difficoltà sulla statale, proseguì fino a Robassomero, dove arrivò intorno a quella che, secondo il suo stomaco, era l'ora di pranzo.
Così, il volere del suo amico e mentore e i propri bisogni viscerali furono per una volta unanimi nel condurlo al bar della piazzetta, altresì detto "della cooperativa". Lì lo scudiero avrebbe potuto attendere la comparsa della bella Selene e, nel frattempo, riempirsi la pancia.
Stava appena terminando il secondo prima, quando entrarono ne locale due persone che lo riconobbero.
«Ma quello è Sergio Zanca. Se la sorella di Donato ha ragione, lui dovrebbe sapere che fine ha fatto il nostro amico.»
Pietro e Nicola si avvicinarono a Sergio, quasi lo circondarono, e gli dissero:
«Sergio! Ci hanno detto che eri sparito con Donato, lui che fine ha fatto?»
Sergio, che aveva giocato alcune volte con loro, li riconobbe e si propose di non raccontare lo stato in cui aveva lasciato Ciscitta.
«Sta bene, è in un posto che fa delle cose importanti.» Disse roteando lo sguardo in giro per la sala.
«Stai scherzando?
Sua sorella è disperata, ha fatto denuncia di sparizione e immagino che anche la polizia lo stia cercando. Sarà meglio che ci aiuti a trovarlo se non vuoi che ti denunciamo alla polizia.»
«O peggio, alla sorella di Donato.» Aggiunse l'altro.
«Non servono minacce, che io non ho fatto male a nessuno.
Lui sta bene; sta facendo un allenamento nei boschi, così perché gli andava.» E così, interrompendosi solo per infilare in bocca gli ultimi rigatoni, raccontò loro come lo aveva lasciato, le loro avventure degli ultimi giorni, e di essere lì per portare una lettera per Selene di Robassomero, che così avrebbe detto a Don Cyshiter che allenamenti fare.
Quei due si stupirono dei racconti e, sebbene conoscessero già la la malattia di Don Cyshiter, quelle assurdità riuscivano a lasciarli a bocca aperta.
Gli chiesero di vedere la lettera menzionata e Sergio si rese conto solo allora di non aver affatto preso con sé il foglio scritto da Don Cyshiter. Disse però di ricordarsi il messaggio a memoria, così il maestro e il barbiere lo pregarono di raccontare cosa contenesse.
«Iniziava tipo... "Alta e tramenata signora Selene..."»
«Non avrà detto "tramenata", ma "intramontabile" o "agognata" signora.»
«Acco appunto, quella cosa. Comunque continuava con "Striscio sui gomiti fino alla morte" e diceva tipo che se lei lo vuole calpestare lui le lecca i piedi. E poi mi ricordo bene che finiva con: "Vostro infermo alla morte. Il paladino dalla Trista Figura."»
Raccontò tutto con così ferma convinzione che gli altri due si stupirono che la pazzia di Don Cyshiter fosse così travolgente che aveva fatto dar di volta al cervello anche di quel disgraziato.
Ciò non di meno, non cercarono di farlo ragionare, pensando di tacito e comune accordo che con lui si sarebbero divertiti non poco.
Si fecero ripetere la lettera tre volte, e ogni volta Sergio tirò fuori nuove bestialità.
Nel frattempo Nicola e Pietro si erano fatti apparecchiare due posti al tavolo di Sergio. Dopo essersi divertiti un po' ad ascoltare i suoi racconti, gli offrirono una birra come ringraziamento e tentarono di ragionare un po' più seriamente.
«Non possiamo lasciare Donato da solo in mezzo ai boschi, si prenderà una polmonite al primo temporale.»
«Sì, ma cosa facciamo? Se chiamiamo qualcuno finisce che lo chiudono in un manicomio, anzi con i casini che hanno combinato,» disse come se Sergio non fosse presente, «rischiamo che lo arrestino.»
«Può darsi che sia la cosa migliore per la sua incolumità.»
«Può darsi. O forse invece ha solo bisogno di un po' più di riposo.
Vuoi prenderti tu la responsabilità di scegliere? E lo spieghi tu a sua sorella?»
Seguì un momento di silenzio, poi Pietro espose la sua idea:
«Usiamo le sue fissazioni per farlo tornare a casa. Sarà come fare una partita dal vivo.
Io mi travesto da donzella in pericolo, tu Nicola farai la mia guardia del corpo. Andremo da lui e gli chiederò in nome di Pelor di portarmi a Robassomero dove c'è bisogno di lui.»
«Come sarebbe il costume da donzella in pericolo? Guarda che non è come nelle commedie di Shakespeare, dove ci si traveste mettendosi un po' di terriccio in faccia.»
«Hai ragione, non posso passare per una dama. Però ho un costume che usavo nei giochi live. E anche tu a farti un costume non ci metterai troppo, basta una tunica, un paio di stivali...»
«Una tunica? Io ho il grembiule da barbiere.»
«Troverò qualcosa io. L'importante sarà coprirci bene in volto.
Se scambiava l'albero di casa sua per un troll, ci scambierà pure per due avventurieri, no?»
«L'albero non era un gigante?»
«Portiamolo qui, e un rimedio si troverà.»

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