Capitolo 34

Continua la novella necroerotica K626

La moglie, credo si chiamasse Constanze, ci fece entrare in un appartamento stretto dal pavimento cigolante. Il corpo ci attendeva, gonfio e giallognolo, in una stanza dove le finestre aperte lasciavano entrare tutto il gelo del tardo autunno.
«Ci manda il signor Letgeb a prendere gli spartiti dell'opera che aveva commissionato a vostro marito.» Dissi dopo alcune frasi di circostanza.
«Sono spiacente, l'opera è quasi terminata ma in questo momento è in mano ad uno stimato collaboratore di mio marito, il signor Eybler, che sta apportando le ultime correzioni.»
Ansiosa di liberarsi di noi, ci fornì facilmente l'indirizzo.

«E fin qui tutto bene. Quand'è che scatta la depravazione?»

Lo trovammo ancora sveglio, chino sugli spartiti, con gli occhi arrossati e le mani nere d'inchiostro.
«Non posso darvi gli spartiti, non sono pronti.» Blaterava senza alzare lo sguardo sul pentagramma. «Forse non saranno mai pronti, io non sono all'altezza.»
«Dacci tutto il materiale che hai a riguardo.
Ora.»
Il Dominio mentale di Miss. Swanson mi avrebbe risparmiato l'uso della forza. Incredibilmente però quel mortale non reagì come avrebbe dovuto.
«L'opera è incompleta, non sono all'altezza di quelle liriche, forse solo il Maestro lo era.»
«Quali liriche?» Chiesi.
«Le ha Magdalena, l'allieva. Sono così... così...»
«Così inutili.» Lo interruppe la Malkava. «Siamo qui per gli spartiti di Mozart, il lavoro dei parolieri non ci interessa.» Prese dalla scrivania i fogli cui stava lavorando l'uomo, frugò nei cassetti e infilò in una borsa di pelle tutto ciò che poteva sembrare uno spartito.
Io mi avvicinai al compositore.
«Di che liriche si tratta? Le messe da requiem non dovrebbero avere tutte lo stesso testo?»
«Lascia stare Katja, quest'uomo non ci sarà di alcuna utilità, è chiaramente vittima di una grave depressione.
Non è vero signor Eybler?»
Gli afferrò il viso e lo obbligò a guardarla negli occhi.
«Coraggio, sfogati, piangi per la perdita del genio di Mozart, piangi per la tua inferiorità.»
L'uomo scoppiò in un pianto disperato, prese a graffiarsi il volto e strapparsi i capelli.
«Si riprenderà.» Mi disse Swanson accennando un vago sorriso. «Ha solo bisogno di elaborare il lutto.»


Nella cappella privata di Villa Walsegg il coro era occupato da numerosi cantanti e strumentisti, fra cui spiccavano giovincelli di bell'aspetto come voci bianche.
Il Conte era chino sull'altare, dove giaceva un corpo privo di vita.

«Ecco, ecco che scatta la depravazione. Sarà pedo o necro?»
«Zitto e ascolta, che ci avviciniamo al climax.»

Doveva essere stata una donna di straordinaria bellezza, ma ora la pelle nivea era tesa sulle ossa. Una cascata di capelli corvini ricadeva dall'altare come un secchio d'inchiostro rovesciato.
Il conte prese la testa di lei fra le proprie mani e la guardò intensamente. I musicisti presero ad eseguire gli spartiti che Swanson ed io avevamo procurato, una musica fiera e insieme triste riempì la cappella.

«Aspetta, fammi capire. Orchestra e coro si mettono a suonare tutti insieme questi spartiti che vedono per la prima volta. E stanno tutti vicini a guardare dallo stesso leggio, o hanno fatto delle fotocopie?»

Per alcuni minuti rimanemmo immobili, così come il Primogenito, il tempo sembrò essersi fermato.
Poi il coro irruppe in un poderoso Dies irae, mi accorsi che il Conte stava stringendo spasmodicamente il volto della donna, pensai che fosse sul punto di piangere, se ancora quelli come noi ne sono capaci. Con un artiglio incise la propria stessa lingua, e mentre il sangue cominciava a fluire abbondante, si chinò sul corpo esanime e lo baciò sulle labbra.
Accompagnato dalle note pietose del Tuba mirum, il sangue colava sulle guance incavate e poi sull'altare, incapace di penetrare quel corpo d'alabastro.
«Perché non torni da me!» Urlò Walsegg, con la bocca e il collo fradici di rosso. «Morgan!»
Nel tempo di un soffio era arrivato di fronte a noi e ci aveva afferrate per il collo.
«L'opera è inefficace. Avete fallito, inutili creature.» I suoi occhi grigi erano spalancati e iniettati di sangue.
«Ho fallito.» Disse Swanson con la voce rotta dalla stretta alla gola. «Punitemi, me lo merito.»
Il Conte mi lasciò cadere a terra e con la mano libera colpì l'Inglese, sentii il rumore delle costole che si spezzavano.
«Io vi ho mandate a recuperare le Parole di Ishtar, e voi mi avete portato una canzonetta senz'anima!»
«Sì, puniscimi!»
La afferrò per i lunghi capelli e la scaraventò contro una panca.
Riversa su un inginocchiatoio, Swanson sollevò la gonna nera e la sottana, rivelando le natiche ignude.
«Merito di essere sculacciata.» Schifosa pervertita, era possibile che avesse deliberatamente ignorato una pista importante per essere punita.
«La parole dell'opera.» Pensai allora ad alta voce. «Mio signore, le liriche sono state alterate, ma io penso di sapere dove recuperare quelle originali.»
Mi afferrò nuovamente per il collo e portò il mio viso ad un sospiro dal suo.

«Oh-santo-Cielo.
Questa è sado-maso-necrofilia.»
Per fortuna un evento inaspettato al Rifugio degli Elfi interruppe quella lettura.

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