Capitolo 23

 Di quel che accadde a Don Cyshiter nel Cusio, che a raccontarlo non ci credo nemmeno io ma vi assicuro che è vero


Sergio Zanca raggiunse il suo compare di lì a poco, si chinò su di lui e subito si rincuorò quando lo sentì riprendere la consueta logorrea:
«Ridare la libertà a furfanti e vigliacchi, o Sergio, è come regalare una staffa magica ad un barbaro mezz'orco: non la userà mai nel modo giusto.
Forse dovrei ascoltare di più i tuoi prudenti consigli.»
Nemmeno quella eccezionale ammissione di torto da parte di Don Cyshiter fece dimenticare a Sergio della delicata situazione in cui si erano cacciati.
Da buon scudiero aiutò il paladino a rialzarsi, e da buon mariuolo insistette perché si allontanassero il prima possibile da quel posto.
«Tu sei codardo per natura,» rispose Don Cyshiter a quelle sagge considerazioni, «ma perché tu non possa accusarmi di ostinazione, né dire che io impongo la mia volontà a tutto il party, voglio ascoltarti per questa volta e sottrarmi alla tempesta che tu paventi.
Lo farò però ad una condizione: che tu mai abbia a dire che io mi sia sottratto allo scontro se non per condiscendere alle tue preghiere. Se sosterrai diversamente, tu mentirai, che anche solo a pensare tale evenienza mi vien moto di fermarmi qui e ora in mezzo alla via ad attendere le forze dell'ordine e i guerrieri del Pugno Fiammeggiante.
Ed essi verranno incontro alla mia spada sguainata gridando: "I serve the Flaming Fist!" e io li mieterò come grano maturo.
"I serve the Flaming Fist!" E giù uno.
"I serve the Flaming Fist!" Avanti un altro.
"I serve the Flaming Fist!" E un altro oneshottato.»
Sergio trattenne il compagno che mimava la scena.
«Sarò codardo e ignorante, ma mi intendo un po' di quel che si dice saper vivere; non ti pentirai se ascolti il mio consiglio.
Ora però fallo davvero e sali in moto, che abbiamo più bisogno di ruote che di spade.»


Viaggiarono tutto il giorno, sfiancando i loro destrieri ammaccati lungo un percorso tortuoso e incoerente, fino ad arrivare quella sera in mezzo alle valli del Cusio, regione dello splendido Lago d'Orta.
Don Cyshiter ritenne che quello fosse un buon posto per passare la notte all'addiaccio, senza sapere che la fatalità (la stessa che regola le sceneggiature delle migliori serie TV) aveva condotto in quella stessa regione il manigoldo Gino Passamonte, che cercava come i nostri eroi di passare inosservato all'occhio vigile della legge.
Egli li vide accampati per la notte in un boschetto di larici e decise di impossessarsi dello scooter di Sergio, sembrandogli che Sgommodura fosse assai più malconcia e inaffidabile.
Attese fra le fronde che si addormentassero, quindi si avvicinò di soppiatto e trascinò via il motorino con le chiavi ancora inserite, e prima che si svegliassero scorrazzava felice per le strade tortuose del lungolago.

L'aurora riflessa sulle acque del lago è uno spettacolo magnifico, ma per Sergio fu invece una vista così orribile che lo fece prorompere in singulti di disperazione.
«Ah compagno di mille avventure, comprato col sudore della mia fronte, anche se di seconda mano. Era l'unico mezzo per fare le commissioni per mia madre e gli amici erano sempre grati quando lo prestavo per qualche giro! Con le ragazze facevo sempre una bella figura perché avendo un casco solo lo cedevo sempre se dovevo accompagnare qui o là una bella squinzia.»
Don Cyshiter, che lo sentì piangere e poi ne conobbe la causa, consolò Sergio meglio che poté, pregandolo di farsi forza e promettendogli di rilasciargli un assegno per comprarsi uno scooter nuovo di zecca una volta che fossero tornati a casa.
«Capita a tutti i grandi avventurieri prima o poi di perdere l'equip, che sia per mano di un ladro o di un rugginofago, eppure capisco che per te il Grigio era più un famiglio che un semplice strumento.»
Sergio si consolò un poco e gradì le promesse del compagno, al quale quei luoghi avevano allargato il cuore, parendogli di essere arrivato in un luogo inesauribile di avventure.
Don Cyshiter pensava alla leggenda di San Giulio e dei draghi ch'egli aveva cacciato dall'isola; cacciato e non ucciso, ed era pertanto probabile che qualcuno di essi ancora dimorasse in qualche caverna nascosta da quelle parti.
Sergio montò anch'egli su Sgommodura, pensando a riempirsi lo stomaco con quanto rimaneva del cibo sottratto alla processione religiosa, e insieme si inoltrarono per strade secondarie, lungo le quali si alternavano lussuose villette e macchie di bosco.

Ad un certo punto Don Cyshiter accostò sul limitare di una scarpata che si addentrava in un gruppo d'alberi. Sergio lo vide sforzarsi di raggiungere qualcosa con quel bastone che ancora si portava appresso a mo' di lancia: si trattava di una valigetta ventiquattrore, coperta di fango e foglie, che il paladino aveva potuto scorgere solo in virtù della propria abilità nell'individuare guai.
Riuscì infine a recuperarla e la porse a Sergio al quale, in quanto ladro, toccava il compito di aprirla. Sergio obbedì, né lo fermò la serratura a combinazione, e vide che conteneva un elegante cambio d'abiti maschile e, arrotolate e tenute da un elastico, un cospicuo numero di banconote da cento Euro.
«Benedetto il cielo! Finalmente un'avventura che paga.»
Frugando ulteriormente nella borsa trovò un diario moleskine, fittamente scritto in ogni sua pagina.
«Tieni pure il loot, ma passa a me quel diario. Ogni hand-out è sicuramente un indizio importante.
Sembra che qualche emissario, latore di importante incarico, sia stato qui raggiunto e assalito dai suoi inseguitori, come dimostra la carcassa del motociclo che puoi scorgere più a valle nella scarpata. Prima di essere sopraffatto, l'emissario deve aver lasciato furtivamente cadere la valigetta, acché non finisse nelle mani indegne dei suoi assassini.
E invero non vedo come possa essere andata altramente.
Ma lasciamo che questo prezioso indizio ci racconti di più sulla nostra misteriosa missione.»
Lo aperse dove le pagine sembravano più facilmente volersi separare e, trovandovi una poesia scritta elegantemente, lo lesse ad alta voce:

 Questa sera non ci sei, e il vuoto di entrambi è solo mio.
 La mente galoppa, verso tetre foreste,
dove gli alberi della gelosia protendono al cielo le loro urla ramificate.
 Lontano è dunque il tuo sguardo dal nostro "noi"?
 Soddisfacente si è rivelata la tua serata.
 O forse precisa, come già era stata programmata.
 Altre braccia ti stringono ora, altri baci, altri sguardi.
 E le parole divengono vuote, ma pesanti.
 E riempiono le mie tasche, come pietre che portano a fondo

«O l'autore era un esperto poeta, o io non me ne intendo affatto.»
«Perché, tu te ne intendi di queste cose?»
«Più di quanto tu non creda, e te ne renderai ben conto allorché recherai alla mia signora Selene di Robassomero una mia lettera, scritta completamente in versi. Perché il guerriero che voglia elevarsi dallo stato di barbaro brutale, buono solo a fare dungeon crawling, deve imparare a maneggiare tanto la penna quanto la spada.
Ora taci e ascolta, che te ne leggo un altro stralcio.»

 E rimasi in silenzio.
 Con le labbra leggermente dischiuse,
 mentre tutto si frantumava dentro.
 Il fiato, i sogni, le risate. Noi.
 Mentre tutto finiva io rimasi in silenzio:
 c'era troppo dolore per un uomo soltanto.

Sfogliando il taccuino trovò molte poesie di tono malinconico e sofferente; terminata questa lettura Don Cyshiter potè solo dedurre che il poeta era un amante disperato e ricco, condotto in quei luoghi da qualche rifiuto o torto.
Con la stessa attenzione che il paladino dedicava al quaderno, Sergio rovistava la valigia. Non trovò altro bottino, e tuttavia gli parve che aver preso botte, essere stato sbalzato su una coperta, ricoperto di vomito in faccia e aver perso il motorino, fossero a fin dei conti delle fatiche ben ripagate dai compensi che attendono gli avventurieri.

La Trista Figura riprese la marcia, lasciando che Sgommodura lo conducesse dove lei credeva meglio, non senza essere seguito dalla curiosità di conoscere l'identità del padrone della valigetta.
Immerso in questi pensieri, scorse sulla cima di una montagnola un uomo che andava saltando di masso in masso, di macchia in macchia con gran leggerezza. Gli parve nella sua fantasia che fosse seminudo, con barba nera e folta, capelli arruffati e piedi scalzi.
Dedusse subito che si trattasse del padrone del quaderno di poesie, e avrebbe voluto raggiungerlo ma la moto non poteva inerpicarsi fra i roveti e le pareti scoscese che li separavano. Né Sergio aveva alcuna voglia di trovare il padrone di quei soldi, per non doverglieli restituire.
Di lì a poco incontrarono un contadino che stava facendo fieno nel proprio campo e sembrò piuttosto lieto di interrompere il lavoro per rispondere a qualche domanda di quegli strani turisti.
«Avete visto anche voi quel cretino?
Sono due giorni che gira nudo per la collina, e stai sicuro che è uno zingaro che va in avanscoperta per trovare le ville da derubare.
Qui hanno già avvertito la polizia, ma la polizia mica fa niente. Dobbiamo beccarlo noi e infilarlo nella mietitrebbia con tutta la sua famiglia. Stai sicuro che poi non ci darà più noia.»
«E che tipo di noie vi ha dato?» 
«Va in giro nudo, il porco. Stai sicuro che prima o poi violenta qualche ragazza. È così che fanno.»
«Ovvero sia? Prima vagolano ignudi per le fratte e poi, trovata una giovane vittima di bell'aspetto, ne ghermiscono con la forza la verecondia e la felicità?»
«Ma com'è che parli tu? Voi non siete mica di qui, stai sicuro che siete zingari pure voi.»
Il contadino ripartì velocemente con il trattore, che da tempo sbuffava come se volesse riprendere il lavoro, lasciando Don Cyshiter pensieroso sul ciglio della strada a rimuginare su quanto aveva appreso su quell'individuo, che ormai era deciso a trovare ed interrogare.

La sorte gli arrise più di quanto egli sperasse perché, poco dopo che furono ripartiti, si trovarono faccia a faccia con quella strana persona, sbucata imprudentemente da dietro un tornante.
Era giovane, indossava solo un paio di brache stracciate ma al polso portava un orologio di valore; parlava tra sé e sé borbottando in modo che non lo si poteva intendere nemmeno da breve distanza.
Trovatosi di fronte la moto che arrancava lentamente, il ragazzo scattò dietro il guardrail per farla passare e si profuse in scuse e saluti verso i due motociclisti.
Don Cyshiter si fermò, accostò e ricambiò i saluti con ancor maggiore entusiasmo e anzi gli si fece incontro abbracciandolo. L'altro, che chiamerò "lo Stracciato d'infelice aspetto", accolse l'abbraccio ma poi si scostò e squadrò il nostro eroe, chiedendosi se lo conoscesse, o forse cercando di stabilire chi dei due fosse più bizzarro d'aspetto.
Dopo un lungo studio reciproco, il primo a parlare fu lo Stracciato, che disse quel che vi racconterò nel prossimo capitolo.

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Nota del curatore (che sono sempre io):
Dopo lunghe ricerche ho potuto recuperare il diario originale di cui si parla in questo capitolo: una raccolta di pensieri, poesie e qualche disegno, sfogo di un aninmo sensibile.
In occasione però della pubblicazione di questo blog, ho voluto anche fare una veloce ricerca su internet ed ho scoperto che queste stesse poesie, lette nell'estate del 2015 dai nostri eroi, sono state pubblicate più recentemente in una raccolta intitolata Tre stagioni di Te e di Me, ad opera di un certo Domenico Lascala.
Ho contattato questo autore, che non è, come vedrete più avanti, la stessa persona incontrata dai nostri. Spero che vorrà chiarire il mistero di come le poesie dello Stracciato d'infelice aspetto siano state pubblicate sul suo libro, ma al momento non ho ancora ricevuto risposta.

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