Capitolo 39

Dove vanno a finire i calzini spaiati?

Come ho detto più volte, non prendo alla leggera il mio ruolo di cronista delle imprese di Don Cyshiter della Mandria.
Alle spalle di questo che sembra un blog scanzonato c'è in realtà un grande lavoro di documentazione, investigazione e ricerca sul campo.
Ebbene, attraverso rischi indicibili e traversie innumerevoli sono riuscito a risalire al testo originale, venendo a sapere che la storia non ha mai visto la pubblicazione, perché giudicata troppo visionaria.
È quindi con una certa soddisfazione che vi offro, in questo capitolo e nel prossimo, la storia breve "Dove vanno a finire i calzini spaiati?".



Cosa permette ai bambini di vivere le proprie emozioni in modo tanto più entusiasmante e coinvolgente rispetto ai grandi? Quando si cessa di essere ragazzi e si diventa adulti? È possibile crescere, invecchiare, mantenendo almeno in parte lo spirito della propria infanzia?

Dopo un periodo di vita spensierato, queste ed altre domande hanno affollato il mio povero intelletto; ma c’è n’è una che mi ha assillato più di ogni altra: dove vanno a finire i calzini spaiati?

La prima volta che sentii la Domanda, convivevo da circa un mese con una splendida ragazza di nome Viola. Mi stavo lavando i denti quando… «Bhla bhlabhalbhal bhlabhal. Bhla bhlabhlabhla? -pausa- MA INSOMMA, ALMENO RISPONDI!»

«Lo sai che non sento se dalla cucina mi parli mentre sono in bagno!» Classica frase, non priva di un fondo di verità, che uso quando scollego il cervello dalle orecchie.

«Ho chiesto se sai dove siano finite le mie calze blu. È possibile? Ho tre calze blu di Prussia e una blu di Persia. E poi la parigina color Borgogna è spaiata, quella che le somiglia di più è quella bordeaux, che è spaiata pure quella. Che fine hanno fatto?!»

Non lo sapevo. Veramente non sapevo nemmeno che esistessero tutti questi colori sparsi per il mondo. Non c'è da stupirsi visto che, a un mese dal trasloco nella nuova casa, il mio guardaroba ammontava a circa tre calzoni, due magliette e una camicia. Ognuno ha le sue priorità e per me la priorità è stata avere la mia libreria a portata di mano, i vestiti potevano aspettare.
A posteriori mi rendo conto di aver commesso un errore. Non tanto per la monotonia del mio vestiario, quanto perché nel frattempo lei ne aveva approfittato per prendere possesso di quasi tutto l'armadio, della cassettiera e della scarpiera, confinando il mio guardaroba ad un'anta e una scatola infilata sotto il letto. Si può quindi capire come mai sul momento non feci molto caso alla questione dei calzini scomparsi.



Pian piano la casa prendeva forma e diventava più confortevole. Dopo aver portato lo stretto indispensabile -cioè i miei libri e i suoi vestiti- cominciammo a traslocare le cose utili e infine quelle superflue, in ordine di importanza: il computer, i CD con lo stereo, quadri e soprammobili, infine i miei vestiti.

Con un maggior numero di suppellettili, le piccole sparizioni divennero più frequenti. Inizialmente pensai ad un wormhole all’interno della lavatrice, ma presto vidi che non era solo il bucato a svanire. Una volta era un foglio con degli appunti, un'altra volta un libro, e la cosa iniziava a diventare imbarazzante quando a sparire era uno dei miei calzoni mentre gli altri due erano uno da lavare e l'altro steso ad asciugare. Più spesso erano oggetti di vitale importanza per la mia compagna: il cellulare, l'agenda degli appuntamenti, il cellulare, documenti di lavoro, il cellulare, mollette per capelli...

La cosa più strana però, più che le sparizioni, sono i posti in cui ritroviamo le cose -può sembrare che confonda i tempi verbali, ma questi fenomeni accadono anche in questi giorni mentre scrivo-. Solitamente quando perdo qualcosa lo ritrovo in piena vista dove assolutamente non avrei potuto non vederlo, considerando poi che non fumo più. Oppure al contrario in posti assurdi: le chiavi nel portaombrelli, i calzini nelle tasche della giacca, i libri sotto il letto... ho persino trovato una gonna nel freezer, ma ho poi scoperto che l’aveva messa lì Viola per ibernare qualche sorta di tarma.

Inizialmente lo dicevo per scherzo, quasi senza pensarci: «Saranno i Folletti». Ma una sera cominciai a prendere la cosa sul serio. Erano ormai quaranta minuti abbondanti che Viola stava cercando la sua maglietta verde. Poco importava che fosse mezzanotte passata e si stesse per andare a letto, lei aveva bisogno di trovare la sua maglietta, subito. Non quella verde kaki, non quella verde pastello, né quella verde con le scritte nere. Voleva quella verde pisello. Non era un lapsus, si trattava proprio della maglietta.

Dopo un po' mi disinteressai alla questione, ma la tensione in casa si faceva sempre più palpabile.

«Vi prego Folletti, non fatemi questo. Ho bisogno della maglietta, ridatemela, per favore!» Faceva Viola quasi in lacrime, aggirandosi per la casa con aria spiritata.

A dimostrazione che ero diventato una persona seria, stavo già prendendo il cellulare per chiamare la neuro, ma non feci in tempo a comporre il numero, che ecco la maglietta sbucare da sotto un cassetto. Non chiedetemi dove sia il sotto di un cassetto.

A quel punto non potevo più fare lo scettico. È vero che si invecchia, ma non potevo certo dimenticare che nell'età dell'oro avevo vissuto per due anni in una casa abitata da uno Scazzamurrillo. Vi ho già raccontato cos'è uno Scazzamurrillo? Ad ogni modo sarebbe un discorso troppo lungo, e non ho ancora spiegato dove vanno a finire i calzini spaiati.

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